Tra partite che potrebbero giocarsi in tribunale (vedi California), nuovi annunci, sospensioni più o meno attese e aliquote macroscopiche riservate al gigante cinese (non su tutto e alle quali lo stesso risponde a tono), è forse opportuno provare a mettere ordine in questa escalation tariffaria che tanto preoccupa, e non senza fondamento, le imprese anche italiane.
L’export italiano di beni, infatti, stando ai numeri contenuti nel piano d’azione presentato dal ministro Tajani lo scorso 21 marzo, ha fatto registrare nel 2024 un valore aggregato di circa 624 mld di euro, dei quali 305 verso paesi extra UE: l’Italia si pone come il sesto esportatore mondiale, le esportazioni rappresentano quasi il 40% del PIL e il piano rivela l’obiettivo, certamente ambizioso, di voler arrivare a 700 miliardi di export entro la fine della legislatura e a tal fine pone in rassegna una serie di strumenti di supporto, anche finanziario, per attuare la sua strategia di promozione dell’export italiano a 360 gradi, identificando nuovi mercati definiti “ad alto potenziale” come India, Messico, Brasile e America latina (anche in vista dell’accordo Mercosur in corso di evoluzione), Turchia e Arabia Saudita che vanno ad affiancare mercati più tradizionali e definiti “maturi” come la Germania o come lo storico partner americano che rappresenta il secondo mercato di sbocco dell’export italiano e che, alla luce dei numeri snocciolati sul rapporto, non può certo essere trascurato né sottovalutato, soprattutto adesso, nonostante le turbolenze che dovremmo trovare il modo di gestire.
Il surplus commerciale con gli Stati Uniti, difatti, nel 2024 ha fatto registrare quota 38,8 mld e proprio questo mercato, con i suoi 64,7 miliardi, assorbe l’11% delle esportazioni totali e più del 21% del nostro export extra UE. Si tratta di numeri a fronte dei quali qualsiasi ulteriore considerazione per l’impatto sulla nostra economia appare ridondante. Ma ad oggi, alla luce delle nuove misure, quanto costa, in termini di nuovi dazi, continuare ad esportare negli Stati Uniti? Come spesso accade la risposta corretta è “dipende”. Si, perché il rally dei dazi, già più volte illustrato anche sulle pagine del “Sole 24 Ore”, ha raggiunto un tale schizofrenico livello da rendere necessario mettere un punto e individuare esattamente quale sia la situazione ad oggi, e dunque per il nostro Paese quali siano i prodotti colpiti dai nuovi dazi. Per fare ciò, dunque, dopo i numeri dell’export ora diamo i numeri del dazio. E visto che siamo in periodo di Pasqua, trascorsa da appena qualche giorno, facciamo la penitenza di analizzare tipologie, decorrenze, sospensioni e previsioni valide almeno ad oggi per l’UE e dunque per la nostra Italia. In principio fu l’acciaio e l’alluminio, oltre ai prodotti da essi derivati. Poi l’automotive, e poi i dazi universali, cioè quelli improntati alla misura della reciprocità.
Trascurando in questa analisi i dazi “fentanyl”, che colpiscono Canada, Messico e Cina, e quelli ritorsivi nei confronti dei Paesi che acquistano petrolio dal Venezuela, dicevamo in principio fu l’acciaio e l’alluminio perché, in effetti, già nel 2018 i dazi settoriali previsti per queste tipologie di merci, al tempo al 10%, avevano scatenato il primo round della disputa commerciale tra UE e USA, giunta poi ad una tregua con l’intervento dell’amministrazione Biden. Ribadendo il presupposto più volte richiamato nei suoi recenti “executive orders” basato sul tema della “sicurezza nazionale” di cui alla sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, Donald J.Trump ha fatto “risorgere”, non per Pasqua ma già dal 12 marzo, un dazio aggiuntivo stavolta fino al 25%, appunto, su acciaio, alluminio e prodotti derivati, che andrebbe a sommarsi al precedente dazio eventualmente già previsto sulla base della “nazione più favorita” (MFN).
Il 3 aprile invece è stata la volta dell’automotive. Da detta data, infatti, è entrato in vigore il dazio aggiuntivo del 25% sulle importazioni di autovetture, anche italiane, negli USA. Tale dazio aggiuntivo va a sommarsi al dazio MFN già esistente del 2,5%. È inoltre prevista, con decorrenza dal 3 maggio, l’entrata in vigore dello stesso dazio aggiuntivo anche sulle parti di automobili che verranno importate. A seguire, in questa sfrenata corsa dei dazi, il 5 aprile è entrato in vigore il dazio “universale” del 10%, annunciato con l’executive order (EO) del 2 aprile (Liberation day), da applicarsi a tutti i Paesi e a tutti i beni indistintamente, ad eccezione dei beni che sempre alla data del 5 aprile risultavano caricati su navi oppure già in navigazione.
Tale nuova misura universale non colpisce, però, l’eventuale componente made in USA del prodotto a condizione che il valore del componente sia pari ad almeno il 20% del valore del bene: un chiaro incentivo ad incorporare nelle proprie produzioni componenti americane. Inoltre, restano esclusi dal citato 10% i beni già oggetto dei dazi settoriali più sopra individuati destinati, cioè, ad acciaio, alluminio e derivati e al settore automotive. Ancora, restano esclusi i beni elencati nell’Annex II del Liberation day, tra cui rame, prodotti farmaceutici, semiconduttori, legname, alcuni minerali critici e prodotti energetici.
Il Liberation day, inoltre, prevedeva che, a partire dal 9 aprile avrebbero dovuto entrare in vigore anche gli ulteriori dazi reciproci, frutto della discutibile formula, differenziati per Paese ed elencati sulla ormai famosa tavola dei dazi di Trump; tavola che per l’UE prevedeva che quel 10% introdotto il 5 aprile diventasse un 20%. Tale misura aggiuntiva, ossia l’incremento a far data dal 9 aprile, è stata poi sospesa per 90 giorni nei confronti dei Paesi che non hanno varato contromisure ai dazi americani al fine di concedere a detti Paesi la possibilità di addivenire a negoziati. Sostanzialmente la misura è stata sospesa per tutti ad esclusione della Cina, vero avversario commerciale degli USA, obiettivo della strategia di Trump in questo Risiko dell’economia in atto da diversi mesi e rea di aver immediatamente imposto contromisure di tutto rilievo (125%).
Sulla “tavola” di Trump per la Cina era stata identificata dapprima una aliquota del 54% (34% Liberation day + 20% fentanyl) che è lievitata dapprima 104%, poi al 145%. E sempre nei confronti della Cina un ulteriore piano formalizzato in questi giorni prevede di tassare le navi fabbricate in Cina che entrano nei porti USA. Tale nuovo “dazio”, previsto in 18 dollari a tonnellata o 120 dollari a container, dovrebbe entrare in vigore tra 6 mesi ed applicarsi in misura incrementale fino al 2028. Ma il condizionale è d’obbligo poiché proprio oggi sembrano aprirsi orizzonti di possibili trattative tra USA e Cina, stando a certe dichiarazioni dell’una e dell’altra parte.
È evidente che lo slalom dei dazi attualmente in atto non conosce soste e qualche giorno fa la US Customs and Protection Boarder (CPB) ha temporaneamente esentato dai dazi gli smartphone e i computer mentre si attendono nuovi annunci riguardanti i semiconduttori. Sempre qualche giorno fa il presidente Trump ha affermato di voler sospendere anche i dazi sull’automotive per dare più tempo alle imprese di ripensare le proprie catene di approvvigionamento, ribadendo il suo invito ad andare a produrre negli USA. Spostare una catena produttiva non è operazione semplice né immediata, e in ogni caso sarà poi necessario fare i conti con la tassazione prevista sulla distribuzione dividendi.
Un puzzle complicato e incerto.
L’incertezza resta, allora, l’elemento predominante su cosa potrà accadere domani, ma almeno ad oggi un punto fermo su ciò che è in vigore lo abbiamo, almeno per 90 giorni circa, anche sul fronte contromisure UE. In proposito, infatti, va detto che già in risposta alla reintroduzione delle misure tariffarie su acciaio e alluminio l’UE aveva risposto fermamente con la reintroduzione delle misure di riequilibrio, previste già nel precedente “round” del 2018 (e anche nel 2020, a dire il vero) e a suo tempo sospese fino al 31 marzo 2025, ampliandone la portata per rispondere al più vasto raggio d’applicazione dell’attuale versione voluta da Trump.
La decorrenza delle contromisure europee, che raccogliendo i risultati della survey attuata dovrebbero andare a colpire le importazioni in UE di variegati prodotti americani tra cui caffè, rame, ferro, pollame, motociclette, succo d’arancia, acciaio soia e imbarcazioni, lasciando esente il bourbon, sono state sospese per 90 giorni, in risposta all’omologa sospensione americana dell’entrata in vigore dei dazi “reciproci” aggiuntivi, per concedersi reciprocamente più tempo per negoziare e trovare un possibile accordo su una (dis)applicazione di queste nuove misure a beneficio di entrambe le rive dell’atlantico, per riprendere la definizione utilizzata dalla nostra presidente del Consiglio durante la sua visita a Washington.
Non ci resta che attendere e nel frattempo monitorare l’evoluzione di questa nuova visione americana del commercio mondiale, valutando quali possano essere le strategie più efficaci per limitarne gli impatti.
Settore |
Decorrenza |
Dazi in vigore verso le imprese italiane |
Acciaio, alluminio e prodotti derivati |
12 marzo 2025 |
25% + ev. MFN |
Automotive |
3 aprile 2025 |
25% + MFN 2,5% |
Dazi “universali” Non applicabile a: · i beni già su navi o in navigazione al 5 aprile · acciaio alluminio e prodotti derivati (dazi propri) · automotive e parti (dazi propri) · beni di cui all’Annex II · smartphones e computers Dalla base imponibile è possibile scorporare la quota di componenti made in USA se tale valore raggiunge almeno il 20% del bene
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5 aprile 2025 |
10% + ev. MFN |
Automotive – parti |
3 maggio 2025 |
25% + MFN 2,5% |
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