Con la circolare 23/E del 9 giugno scorso, l’Agenzia delle Entrate modifica le regole per l’applicazione delle soglie temporali previste per il ravvedimento operoso per quanto concerne l’applicazione del ravvedimento ad un nono della sanzione minima.
La recente circolare, tuttavia, esamina soltanto alcune delle tante questioni che devono essere affrontate affinché l’ampliamento delle possibilità di ravvedimento diventi realmente un istituto che, come ribadito dalla stessa Agenzia, incentiva la “compliance fiscale” tra Fisco e contribuenti grazie ad un efficace ed efficiente scambio di informazioni tra le parti.
A tale riguardo, le questioni aperte possono dividersi in tre grandi “aree”: l’area relativa all’estensione dei termini per l’accertamento; l’area riguardante le questioni attinenti la collaborazione tra l’Agenzia delle Entrate ed, infine, l’area relativa ai termini del ravvedimento (si veda tabella a lato).
Il primo gruppo interessa gli effetti della c.d. riapertura dei termini a seguito del ravvedimento derivante dalla presentazione di una dichiarazione integrativa o derivante dalla regolarizzazione degli omessi versamenti. In base alla legge di stabilità, infatti, in tutti questi casi si ha la “rigenerazione” dei termini per l’accertamento a decorrere dalla data di presentazione della dichiarazione integrativa “limitatamente agli elementi oggetto di integrazione”.
Quanto all’area della collaborazione, si osserva come il nuovo meccanismo di ravvedimento operoso estende fino a dopo la notifica del pvc la possibilità da parte dei contribuenti di utilizzare l’istituto del ravvedimento operoso usufruendo della riduzione delle sanzioni da un decimo ad un quinto del minimo.
Tale apertura costituisce un elemento idoneo non solo a modificare le tempistiche difensive dei contribuenti e quelle di controllo dell’ufficio, ma, più in generale, a rivoluzionare il significato stesso dell’azione accertativa che, al di là delle situazioni più gravi di evasione, dovrebbe perdere un po’ della sua “valenza repressiva” in favore di un maggiore spirito collaborativo fisco-contribuente.
Con l’estensione del ravvedimento anche a controlli iniziati, di fatto, questi due momenti (presentazione e verifica) inevitabilmente si dovranno incrociare tra di loro.
Ma affinché ciò possa avvenire efficacemente occorrerà, d’ora in poi, il fattivo intervento “collaborativo” delle due parti chiamate in causa.
Sul punto, con la circolare 6/E/2015 le Entrate hanno specificato che sarà onere del contribuente comunicare agli uffici l’eventuale utilizzo del ravvedimento.
Infine la terza area riguarda la corretta interpretazione ed applicazione sia dei nuovi che dei vecchi “step” temporali del ravvedimento. Tema questo affrontato dalla circolare 23/E/2015.
Con riferimento, infatti, al ravvedimento ad un nono, il documento di prassi elimina, limitatamente all’individuazione del dies a quo (del termine di decorrenza) la vecchia “dicotomia” tra tributi “periodici”, cui si collega un obbligo dichiarativo che si rinnova periodicamente e i tributi c.d. “istantanei” per i quali “non è prevista dichiarazione periodica”. Per i primi, infatti, la precedente interpretazione fornita con la circolare 180/1998, prevedeva quale dies a quo per calcolare la riduzione della sanzione applicabile la data di presentazione della dichiarazione. Al contrario, per i tributi “istantanei” la possibilità di autocorrezione era calcolata dal momento della scadenza del versamento.
Inoltre, la regola della dichiarazione per i tributi “periodici” era applicabile sia alle violazioni consistenti nella semplice omissione o insufficiente versamento dei tributi (saldo, acconti Irpef, Ires, Irap e Iva), sia gli agli errori relativi ad una dichiarazione validamente presentata le cui violazioni rientravano nel perimetro dell’infedele dichiarazione e richiedenti la presentazione di una dichiarazione integrativa.
Detta distinzione, di fatto, era entrata in crisi con l’introduzione, dal 2015, del nuovo “step temporale” per il ravvedimento pari ad un nono.
La circolare 23/E ha ovviato a tali difficoltà ridisegnando il quadro di riferimento non più incentrato sulla natura del tributo ma piuttosto su quella della violazione. Nel dettaglio, la nuova “dicotomia” è tra le “violazioni commesse mediante la dichiarazione” da quelle, invece, che, pur potendo riflettersi in un modello dichiarativo, non derivano da questa.
Tra le prime violazioni rientrano quelle che danno luogo a dichiarazione infedele (art. 1 D. Lgs 471/1997), sanzionabili con un importo minimo pari al 100% dell’imposta evasa. Per queste, essendo necessario presentare una dichiarazione integrativa la soglia temporale per l’applicazione della riduzione ha come riferimento la scadenza del termine di presentazione della dichiarazione.
Viceversa, per le violazioni derivanti dall’omissione dei versamenti, risultanti o meno da una dichiarazione, come nel caso di carente od omesso versamento del saldo o dell’acconto Irpef/Ires o Irap, la cui sanzione è pari al 30% dell’ammontare non corrisposto (art. 13, D. Lgs 471/1997), il dies a quo per il ravvedimento ad un nono decorre dal momento della scadenza del termine di versamento.