La sanzione applicabile in caso di utilizzo “virtuale” di un deposito Iva all’importazione di beni è solo quella prevista per gli omessi o ritardati versamenti (art. 13 D.lgs. 471/97), ma la sua applicazione deve necessariamente essere riadeguata tenendo conto dei principi comunitari della proporzionalità.
Questi principi fissati dalla Corte di Cassazione con la sentenza n 17814/15, in forza della chiara decisione assunta dalla Corte di Giustizia nel corso del 2014 Causa C-272/13), tradotti in pratica determineranno una rivisitazione di tutti i procedimenti in corso con una sostanziale riduzione del relativo carico sanzionatorio.
In realtà, il caso sottoposto al vaglio della Cassazione atteneva ad una valutazione di carattere eminentemente giuridico circa quale sanzione fosse applicabile in caso di utilizzo virtuale di un deposito Iva, accompagnato però dal regolare assolvimento dell’imposta all’atto della (pure virtuale) estrazione delle merci dal deposito, mediante il sistema del reverse charge.
Come ormai consolidato in prassi e giurisprudenza, per i casi in commento la Corte ha innanzitutto rilevato l’assenza di una norma speciale nel Testo Unico delle Leggi Doganali (DPR n. 43/73) e, di conseguenza, ha riconosciuto l’applicabilità della norma generale di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/97, che penalizza le ipotesi di ritardati o omessi versamenti.
Ciò posto, la Cassazione muove un ulteriore passo avanti, esplicitamente applicativo dei criteri fissati dalla Corte di Giustizia sul caso Equoland.
Si prende atto, infatti, che con la decisione resa nella causa C-272/13, la Corte di Giustizia ha trattato in concreto dell’applicabilità al caso dei depositi virtuali proprio dell’art. 13 del D.Lgs. n. 471/97, fissando stretti e imprescindibili canoni di proporzionalità.
Senza entrare nel merito della correttezza sistematica della scelta di tale norma ai fini sanzionatori - conclusione della quale ancora si può dubitare, anche se l’orientamento di legittimità è per ora molto netto -, i Giudici di Lussemburgo hanno deciso che tale disposizione non può sempre essere applicata acriticamente nella sua formulazione di base, dunque con la sanzione pari al 30% del tributo non corrisposto. In concreto, infatti, i giudici di merito sono invece tenuti ad una valutazione della norma in relazione al caso di specie, verificando se è conforme al principio di proporzionalità un’applicazione nella formula di base, ovvero se è più corretto fare ricorso alle riduzioni pure previste dalla norma.
È il caso proprio delle ipotesi considerate dalle situazioni valutate dalla Corte di Cassazione per le quali il ritardo tra l’introduzione virtuale e l’assolvimento dell’imposta in modalità di reverse charge, è talmente minimo o comunque ben delimitato da arrecare all’erario un danno quasi nullo.
Ebbene, in questi casi è automatica una applicazione minima ed estremamente favorevole dell’ipotesi sanzionatoria; ad esempio, è disposto dallo stesso art. 13 D.Lgs. 471/97 che, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione base del 30%, oltre ai benefici del ravvedimento operoso, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
E’ chiaro che i principi ora espressi per i depositi Iva devono trovare applicazione anche in tutti gli altri casi in cui la violazione determini un danno erariale ridotto si pensi, ad esempio, ai casi in cui il contribuente ometta di integrare una fattura intracomunitaria.