Di Benedetto Santacroce e Anna Abagnale
Il mancato pagamento da parte del cliente, che ha subito la rivalsa, in seguito all’accertamento del fornitore, determina il diritto di quest’ultimo di portare in detrazione l’Iva mediante i meccanismi previsti dall’art. 26 del Dpr 633/1972. Su questa linea, si è orientata anche l’associazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano che ha emanato nei giorni scorsi una apposita norma di comportamento (la n 195/2016) con la quale ha iniziato un percorso interpretativo dell’istituto dell’accertamento da rivalsa, orientato dal principio di natura unionale, della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto. La ratio dell’applicazione consequenziale dell’art. 26 Dpr 633/1972 all’art. 60, comma 7, dello stesso decreto discende dalla necessità di tutelare l’elemento essenziale per il corretto funzionamento dell’imposta, appunto il principio di neutralità. La corretta applicazione di tale principio, per cui nell’intero ciclo economico l’unico soggetto a restare inciso dal tributo è il consumatore finale, deve essere sempre assicurata. Di conseguenza, la possibilità di recupero dell’imposta in rivalsa è data al soggetto passivo anche nel caso in cui l’imposta sia stata versata a seguito di un accertamento dell’Amministrazione finanziaria. In sostanza, ai sensi dell’art. 60, comma 7, in caso di accertamento/rettifica, da un lato, il fornitore ha diritto di rivalersi dell’imposta nei confronti del proprio cliente, a condizione che provveda al pagamento dell’Iva accertata, delle sanzioni e dei relativi interessi; dall’altro lato, il cliente, destinatario della rivalsa, ha diritto di portare in detrazione l’Iva addebitata entro il termine di presentazione della dichiarazione del secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta addebitata. A questo punto diventa quasi spontaneo chiedersi cosa succeda nel caso in cui il cliente, raggiunto dalla variazione in aumento non proceda al pagamento dell’imposta dovuta. L’articolo 60, comma 7 non fornisce al riguardo alcun chiarimento, limitandosi a dire che il diritto di detrazione del cliente è subordinato al previo pagamento al fornitore delle somme addebitategli ex post. Né, altrettanto, nel riformato art. 26, che disciplina i casi specifici in cui è ammessa la nota di variazione in diminuzione, vi è traccia di questo tema. Dunque le riflessioni che possono farsi a riguardo non possono che basarsi sullo stato attuale della normativa e sui principi giurisprudenziali della Corte di giustizia UE.
Volendo dare rilevanza al tenore letterale dell’art. 60, comma 7, il fornitore, che ha versato l’Iva accertata all’Erario, ha un diritto di rivalsa. Ora la rivalsa, insieme diritto e dovere del fornitore, genera nel cliente l’obbligo di corrispondere l’imposta che gli viene addebitata in fattura. Essendo la rivalsa, come più volte ha sottolineato la Cassazione, un rapporto di natura privatistica, qualora il cliente rifiuti di effettuare il pagamento dell’Iva addebitata dal fornitore appunto a titolo di rivalsa, quest’ultimo potrà utilizzare gli strumenti previsti dal codice civile per il recupero del suo credito, ovvero potrà agire con un’azione esecutiva individuale o una procedura concorsuale dinanzi ad un giudice ordinario. A questo punto, l’infruttuosità della procedura esecutiva individuale, o il mancato pagamento a causa dell’apertura della procedura concorsuale, sarà da considerarsi quale presupposto richiesto dall’art. 26, comma 4, affinché il fornitore acquisti, ai sensi dello stesso articolo, il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione in diminuzione. Ovviamente, nel caso in cui, successivamente agli eventi di mancato pagamento, il cliente provveda a pagare il corrispettivo dovuto, il fornitore dovrà emettere una nota di variazione in aumento e il cliente avrà diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla nota di variazione ricevuta.