A cura di Lorenzo Lodoli e Benedetto Santacroce
La riforma delle sanzioni tributarie, di cui al dlgs 158/2015, ispirata all’applicazione di pene proporzionate e correttamente calibrate rispetto alla specifica violazione commessa, impone agli uffici di evitare acritici automatismi a favore di irrogazioni che colpiscono i comportamenti più pericolosi (evasioni realizzati con frode o artifici) ovvero calmierino o escludano la pena in caso di errori interpretativi. Se così non fosse si andrebbero a violare gli articoli presenti nel D. Lgs. 472/97 che disciplinano le cause di non punibilità – art. 6 - ed i criteri di determinazione della sanzione – art. 7 - tra i quali ha assunto, dopo la riforma del 2015 particolare rilievo la proporzionalità della stessa in rapporto al tributo ed alla condotta tenuta dal contribuente. Nell’applicazione delle sanzioni pertanto gli uffici, una volta accertata la violazione della norma tributaria, dovranno ben valutare, caso per caso, l’esistenza di cause di non punibilità e le regole fissate per la quantificazione concreta delle sanzioni stesse. In particolare, l’art. 6 del D. Lgs. 472/97 si occupa di andare ad individuare quelle che sono le cause di non punibilità. Si possono verificare casi in cui pur in presenza di violazioni di norme tributarie viene esclusa la presenza del dolo o della colpa in capo all’autore della violazione stessa con conseguente venire meno della sua colpevolezza in quanto vi sono elementi che intervengono nel processo di formazione della volontà dell’autore escludendo la sua partecipazione soggettiva. Si tratta dei casi in cui la violazione è determinata da errore non colpevole sul fatto, da obiettive condizioni di incertezza sulla portata o l’ambito applicativo della norma, da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli della dichiarazione e dei pagamenti, da cause di forza maggior, da violazioni meramente formali o da errore addebitale a terzi. Si tratta di tutti casi in cui non è personalmente attribuibile all’autore della violazione la responsabilità dei fatti. Inoltre, l’art. 7 del D. Lgs. 472/97 indica le regole che gli uffici debbono seguire nel momento in cui si trovano a dover irrogare una sanzione fissata edittalmente tra un minimo ed un massimo. Proprio in ragione della personalizzazione della responsabilità di chi ha agito si deve tener conto della gravità della violazione, desunta anche alla luce del comportamento tenuto - sia al momento della commissione/omissione del fatto sia successivi alla violazione - e dai precedenti fiscali dell’autore della violazione.
In tale contesto gli uffici dovranno altresì considerare il comma 4 dell’art. 7 che disciplina la sproporzione “tra entità del tributo” e la “sanzione” valutando la sproporzione con riferimento anche al tipo di condotta posta in essere ed alla dimensione psicologica del contribuente. Valutando pertanto non solo l’aspetto oggettivo del rapporto tra sanzione e tributo ma anche l’aspetto soggettivo delle singole circostanze del caso concreto. Tale soluzione troverebbe conforto nella struttura dell’art. 7 che detta i criteri e le regole che gli Uffici preposti all’accertamento sono tenuti a seguire per valutare la gravità della violazione valorizzando al massimo il comportamento e la personalità del soggetto a cui la sanzione si applica ed i suoi precedenti fiscali come indicato nei commi 1 e 2 dell’articolo. Conclusione che sarebbe peraltro in linea con il concetto di proporzionalità delle sanzioni sancito dalla Corte di Giustizia (sentenza Equoland C-272/13) la quale ritiene che si debba considerare anche la natura e la gravità della violazione posta in essere.
Pertanto gli uffici ogni qualvolta si troveranno ad emettere una sanzione tributaria dovranno procedere ad un’attenta analisi sia in chiave soggettiva che oggettiva dei comportamenti irregolari posti in essere dall’autore considerando che quando la sanzione è mal calibrata potrà creare effetti non desiderati quali il rischio di enormi contenziosi o come sottolinea la circolare 16/E/2016 la disaffezione del contribuente.
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