Intento fraudolento

Intento fraudolento

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A cura di  Anna AbagnaleBenedetto Santacroce


Se c’è un intento fraudolento, la violazione di un obbligo formale determina l’impossibilità di detrarre.


La Corte di Giustizia è ritornata ieri sul tema dell’esercizio del diritto alla detrazione laddove siano stati disattesi gli obblighi formali richiesti dalla legge. Più di preciso la Corte, con la sentenza relativa alla causa C-332/15, ha affermato che non è incompatibile con il diritto unionale una norma interna che preveda (a patto che siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività) un termine di decadenza per l’esercizio del diritto a detrazione e che neghi ad un soggetto passivo di detrarre l’Iva, in quanto abbia violato, in maniera fraudolenta, gli obblighi formali a cui era tenuto per poter beneficiare di tale diritto.
Il caso, che tra l’altro ha avuto rilevanza penale, ha visto protagonista il legale rappresentante di una società italiana, il quale si era visto contestare un’Iva evasa pari a 64mila euro circa. Imputato davanti alla sez. penale del Tribunale di Treviso, per omessa presentazione della dichiarazione Iva per l’anno 2010, aveva prodotto in giudizio fatture emesse nello stesso anno da altre società nei confronti della società, fatture pagate ma non registrate che avrebbero potuto abbattere l’importo dell’imposta evasa, fino a farlo scendere sotto la soglia penalmente rilevante. Il giudice della controversia ha ritenuto opportuno sospendere il procedimento e sollevare una duplice questione pregiudiziale dinanzi alla Corte, affinché valutasse la compatibilità con le disposizioni della Direttiva Iva, in primo luogo, dell’art. 19 DPR 633/1972, che esclude la detrazione dell’Iva se non è stata presentata «la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto»; in secondo luogo, degli artt. 25 e 39 del medesimo Decreto che non permettono di tener conto, ai fini della detrazione, di fatture passive che il soggetto non ha in alcun modo registrato. 
Quanto al primo punto, la pronuncia della Corte può dirsi conforme agli orientamenti giurisprudenziali precedenti (sentenze dell’8 maggio 2008, Ecotrade, cause C-95/07 e C- 96/07 e del 12 luglio 2012, EMS-Bulgaria Transport, causa C-284/11). Infatti, premesso che il diritto di detrazione è un principio cardine del meccanismo dell’Iva, essenziale per garantire una perfetta neutralità, e che in linea generale esso non può essere soggetto a limitazioni, la possibilità di esercitare tale diritto senza alcun limite temporale comporterebbe un contrasto con il principio della certezza del diritto. Di conseguenza, secondo i giudici europei, un termine di decadenza dal diritto è giustificato purché siano rispettati i principio di equivalenza e di effettività, la cui verifica spetta al giudice del rinvio, ma che, secondo la Corte sussistono nel caso italiano.
La portata, per certi versi, innovativa della pronuncia sta nell’analisi della seconda questione. Sul punto la Corte richiama la recente sentenza relativa al caso Indexx Laboratories Italia (sentenza dell’11 settembre 2014, causa C-590/13): per tutelare il principio di neutralità – afferma la Corte – la detrazione dell’Iva versata a monte deve essere ammessa anche se non sono rispettati dal soggetto passivo tutti i requisiti formali (i quali disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto), purché siano rispettati comunque i requisiti sostanziali (attinenti al fondamento e all’estensione del diritto stesso), a meno che l’inosservanza dei primi impedisca che sia fornita la prova dell’esistenza dei secondi. Detto ciò la Corte va oltre. Ai fini della lotta contro l’evasione, l’elusione ed eventuali abusi, la stessa sottolinea come le autorità e i giudici nazionali possano limitare tale diritto, o negarlo addirittura, laddove elementi oggettivi dimostrino che vi sia un intento abusivo o fraudolento. E nel caso in specie, la mancata presentazione della dichiarazione Iva (insieme all’omissione di esibizione delle scritture contabili e dei registri Iva, del versamento dell’imposta e della registrazione delle fatture emesse e ricevute), anche se in teoria non preclude la possibilità di fornire la prova dell’esistenza dei requisiti sostanziali, non può che «dimostrare l’esistenza del caso più semplice di evasione fiscale, nel quale il soggetto passivo omette deliberatamente di rispettare gli obblighi formali che gli incombono allo scopo di sottrarsi al pagamento dell’imposta».

 

La massima

La Corte ha stabilito, con la sentenza del 28 luglio 2016, Astone, causa C-332/15, che non è in contrasto con il diritto dell’Unione una normativa nazionale, la quale preveda un termine di decadenza per l’esercizio del diritto a detrazione, purché siano rispettati i principi di equivalenza ed effettività, aspetto la cui verifica compete al giudice nazionale. Né può dirsi in contrasto con lo stesso una norma nazionale che permetta all’amministrazione finanziaria di negare ad un soggetto passivo il diritto alla detrazione dell’Iva, nel caso in cui sia accertato che tale soggetto ha violato, in maniera fraudolenta (circostanze che deve verificare il giudice nazionale), la maggior parte degli obblighi formali che esso era tenuto ad assolvere per poter beneficiare del suddetto diritto.

 

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