Il prorata IVA italiano è legittimo per la UE

Il prorata IVA italiano è legittimo per la UE

CONDIVIDI SU

di Benedetto Santacroce

Il sistema del prorata generale Iva  previsto dalla legislazione nazionale è compatibile con le regole Unionali, anche se, in alcuni casi, essendo un meccanismo forfettario  può determinare uno svantaggio al contribuente in termini di puntuale determinazione dell’ammontare dell’imposta detraibile. Questa è l’interpretazione rilasciata dalla Corte di Giustizia con la sentenza  di ieri nella causa (C-378/15) che vedeva contrapposta l’Agenzia delle Entrate e la Mercedes Benz Italia e che chiude a favore dell’erario nazionale il vivace dibattito che era nato intorno alla vicenda.

In effetti, la Corte di Giustizia giunge alla predetta conclusione, sulla base di un’interpretazione letterale degli art. 17 paragrafo 5 e 19 della sesta direttiva (ora contenute agli articoli da 173 a 175 della direttiva 2006/112/CE) disattendo in pieno le conclusioni dell’avvocato generale presso la corte stessa  (HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE) del 29 giugno scorso che era giunto a proporre l’illegittimità della norma e della prassi nazionale. L’unico punto in comune tra la Corte e l’avvocato è che la norma dell’art. 17 paragrafo 5, terzo comma lett. d) della sesta direttiva non brilla certamente per chiarezza.

Più in dettaglio il caso considerato dalla Corte è quello di Mercedez Benz Italia che  nella propria dichiarazione Iva ha qualificato le proprie attività finanziarie esenti (ossia l’erogazione di finanziamenti alle società controllate) come accessorie alle proprie attività imponibili e, in quanto tali le ha escluse dal denominatore di calcolo del prorata di detraibilità.

Come è noto il sistema del prorata generale Iva italiano prevede che ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo a detrazione che attività esenti, la detrazione dell’Iva spetta in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni  che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno.

Il dubbio che ha spinto il contribuente a escludere le operazioni finanziarie dal calcolo è comprendere se in forza della norma comunitaria il meccanismo forfettario dovesse essere riferito ai soli costi  promiscui (che contestualmente sono riferibili a operazioni imponibili o esenti) ovvero su tutte le operazioni a prescindere dalla diretta riferibilità a dette operazioni. Ovviamente, come si comprende l’effetto della diversa interpretazione della norma ha come conseguenza una sostanziale differenza nell’ammontare dell’Iva detraibile.

La corte, nella sua analisi, ricorda che l’art. 17, paragrafo 2 della sesta direttiva, prevede che  i soggetti passivi hanno la possibilità di detrarre l’imposta assolta sugli acquisti di beni e servizi destinati a essere utilizzati esclusivamente pe le operazioni imponibili.  Questa regola può essere derogata dagli Stati membri in base alle previsioni di cui all’art. 17 paragrafo 5 terzo comma  della sesta direttiva. In particolare, l’Italia applica la lett. d) del predetto comma che gli permette, a detta della Corte, di imporre ai contribuenti il calcolo del prorata generale in relazione a tutte le attività siano esse imponibili o esenti, senza possibilità di distinzione.

Le conclusioni della Corte discendono dall’interpretazione letterale della norma che utilizza l’espressione “tutte le operazioni ivi contemplate” e non distingue le operazioni che danno diritto da quelle che non danno diritto a detrazione, come invece fa l’art. 17, paragrafo 5, primo comma.

Infine, è da notare che l’applicazione della deroga che porta a una effettiva distorsione della formazione del diritto a detrazione trova, nel nostro ordinamento, quale correttivo (a dire non certamente di semplice attuazione) la possibilità di separare la gestione Iva   delle attività che danno diritto a detrazione da quelle che tale diritto lo escludono.

}