A cura di Benedetto Santacroce e Anna Abagnale
Sono queste le conclusioni a cui è pervenuta ieri la Corte di Giustizia con due diverse sentenze relative rispettivamente alle cause C-471/15 e C-37/16, fornendo dei chiarimenti puntuali riguardo le due macro-aree di operazioni imponibili ai fini Iva: cessioni di beni e prestazioni di servizi.
Nella prima sentenza, infatti, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla cessione di “beni d’occasione”, ovvero, più nello specifico, sulla possibilità di considerare tali i pezzi usati provenienti da autoveicoli fuori uso acquisiti da un’impresa di riciclaggio di automobili presso un privato e destinati ad essere rivenduti come pezzi di ricambio. Condividendo le conclusioni dell’avvocato generale, i giudici di Lussemburgo fanno leva sul significato letterale della norma unionale (art. 311, par. 1, punto 1, Direttiva 2006/112/CE), la quale definisce i “beni d’occasione” come «beni mobili materiali suscettibili di reimpiego, nello stato originario o previa riparazione», a nulla rilevando che gli stessi provengano da un altro bene nel quale erano incorporati come parti costitutive. Quello che conta unicamente è che il bene conservi la propria funzionalità. A corollario di quanto detto, la cessione di tali beni da parte del soggetto passivo/rivenditore, affinché non si produca l’effetto distorsivo di una doppia imposizione Iva, non può che essere soggetta al regime del margine, in cui la base imponibile è pari alla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto (il c.d. “margine”) diminuito dell’importo dell’Iva relativa al margine stesso. Eventuali difficoltà nella determinazione della stessa, e in particolare, del prezzo di acquisto dei singoli pezzi di ricambio, non giustificano in alcun modo l’esclusione dal regime, considerata anche la possibilità che la Direttiva concede agli Stati di membri di determinarla in relazione a tutte le cessioni di beni assoggettate al regime speciale, come margine globale.
Con la seconda sentenza, la Corte ha chiarito, invece, che non sono soggetti ad Iva i canoni che le società di gestione collettiva dei diritti d’autore riscuotono, per conto dei titolari dei diritti di riproduzione ma a nome proprio, dai produttori/importatori di supporti vergini e apparecchi di registrazione e riproduzione, in relazione alle vendite di tali apparecchi. Ciò in quanto, in specie, manca proprio una prestazione di servizi rilevante ai fini Iva. Infatti, è vero che, ai sensi dell’art. 24, par. 1 della Direttiva, si considera, in termini residuali, prestazione di servizi ogni operazione che non è cessione di beni, ma è vero anche che è necessario che l’operazione sia effettuata a titolo oneroso, ovvero che vi sia un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto. Nesso che non sussiste nel rapporto, come quello in specie, tra i titolari di diritti di riproduzione (o la società di gestione di tali diritti) e i produttori/importatori degli apparecchi di registrazione e riproduzione, né tanto meno può ritenersi che il canone da quest’ultimi versato abbia questa funzione.