Guida all'IVA 6 : Depositi IVA e depositi doganali

Guida all'IVA 6 : Depositi IVA e depositi doganali

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La corretta gestione fiscale del movimento delle merci e una coerente revisione dei flussi di approvvigionamento e di vendita dei beni può offrire agli operatori economici una serie di efficienze e dei concreti risparmi che non possono essere assolutamente sottovalutati. In questa logica gli istituti del deposito Iva e dei depositi doganali costituiscono un tassello importante per ridurre il carico d’imposta e per risolvere problematiche connesse, ad esempio, all’utilizzo all’estero o in Italia, di piattaforme logistiche che sono particolarmente performanti sul piano operativo ma, in taluni casi, non sono in grado di rispettare in completa efficienza le strette regole fiscali.

La disciplina dei predetti istituti è stata di recente sostanzialmente modificata con provvedimenti che presentano notevoli vantaggi per gli operatori in termini di elasticità di utilizzo, ma che se non ben conosciuti, nascondono  anche qualche rischio  e qualche onere eccessivo.

In particolare:

  • il deposito Iva (art. 50 bis del Dl 331/93) è stato modificato dal Decreto Legge 193/2016 (convertito in legge 225/2016). La nuova regolamentazione, che è operativa dal 1 aprile 2017, è stata introdotta con scopi antievasione, ma, come vedremo in dettaglio, ha aperto nuove opportunità nella gestione delle merci nazionali;
  • il deposito doganale è stato riformato dal 1 maggio 2016 dal nuovo codice doganale dell’Unione Europea (CDU). Con le nuove regole si è voluto rendere più flessibile il deposito sia inserendo regole specifiche per gestire, ad esempio, l’e-commerce verso i privati, sia prevedendo l’uso nel particolare regime, della regola dell’equivalenza.

Gli approfondimenti che seguiranno saranno diretti ad analizzare in dettaglio le regole cercando in ogni caso di evidenziare le opportunità che le stesse offrono in termini di pianificazione fiscale e doganale del movimento delle merci.    

Anticipando in sintesi alcune novità del 2017 del deposito Iva che formerà oggetto principale di questa pubblicazione mi sembra il caso di soffermarci sulle regole di introduzione  e di estrazione dei beni dal deposito, nonché di nuove responsabilità del depositario.     

In effetti, l’introduzione e l’estrazione dei beni costituiscono le fasi più delicate dell’intero regime, in quanto proprio a questi momenti si riconducono rispettivamente gli effetti di sospensione dell’applicazione  dell’imposta e di assolvimento dell’imposta. Quello che è essenziale ricordare nell’esaminare le suddette novità è che il deposito Iva nasce a livello unionale con due scopi specifici: da una parte, il regime vuole equiparare il trattamento Iva delle merci che provengono da uno Stato membro a quelle che arrivano da un Paese terzo quando le stesse sono destinate ad essere introdotte in un deposito e, dall’altro,  ha lo scopo di favorire le “ cd cessioni a catena” (si pensi alle operazioni trattate nelle borse merci che passano di mano in mano rapidamente) che, se avvengono in un deposito Iva, si realizzano senza imposta fino al momento della loro estrazione dal deposito e solo quando i beni sono destinati ad essere utilizzati o commercializzati in Italia. Questa premessa fa comprendere anche quale sia il ruolo delicato affidato al depositario che è la figura intorno al quale ruota l’intera disciplina e che si fa garante della corretta applicazione del regime.

Introduzione dei beni in deposito

In riferimento all’ammissione al regime del deposito Iva le nuove disposizioni perseguono l’obiettivo positivo di allargare la sua operatività a tutte le cessioni di beni anche avente ad oggetto beni nazionali. In particolare, è stata modificata la lettera c) del quarto comma dell’articolo 50-bis del Dl 331/93 ed è stata abrogata la successiva lettera d) del medesimo quarto comma. In virtù di dette modifiche, l’introduzione dei beni all’interno del deposito Iva, prevista prima del 1 aprile 2017 solamente per gli acquisti intracomunitari, per i beni extra UE immessi in libera pratica, per le cessioni verso soggetti identificati in un altro Stato membro e per le cessioni nazionali, e per queste ultime limitatamente alle transazioni che avevano ad oggetto i beni elencati nell’allegato A-bis del DL 331/1993, viene ora estesa ad ogni tipologia di transazione. Con l’entrata in vigore delle nuove regole, infatti, le cessioni verso soggetti identificati in un altro Stato membro e le cessioni nazionali di beni di cui all’allegato A-bis del DL 331/1993 vengono eliminate dal testo dell’art. 50-bis del DL 331/1993 e viene previsto in maniera ampia e generica che sono ammesse al regime di sospensione dell’imposta “le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito Iva”.

Questa sostituzione, come già evidenziato,  determina un ampliamento delle operazioni che possono essere ammesse al regime sospensivo creando delle nuove opportunità di utilizzo del deposito Iva  per tutte le operazioni interne, specialmente quando le merci sono oggetto di più transazioni ovvero sono dirette ad essere esportate o cedute in un altro Stato membro. Queste nuove opportunità vanno dunque valutate caso per caso perché devono essere riferite con attenzione alla situazione specifica a cui si riferiscono. Certamente, l’impulso che nasce dalla norma è di superare lo schema di utilizzo del deposito Iva per non pagare l’Iva in dogana, a favore di un utilizzo dello strumento per attenuare il carico dell’imposta nelle operazioni interne. Si immagini i vantaggi che si potrebbero ottenere se i beni sono destinati, dopo una trasformazione, ad essere venduti in un altro Stato membro. L’impresa potrebbe  acquistare i beni in Italia da un fornitore nazionale, introducendoli in un deposito Iva senza assolvimento dell’imposta, potrebbe trasformarli senza applicazione dell’Iva e potrebbe estrarli con destinazione lo Stato membro con due vantaggi: il primo di non dover applicare l’Iva e il secondo di poter vantare un credito Iva ai fini del Plafond.  La situazione favorevole potrebbe, in parte, svanire se i beni al termine della lavorazione fossero destinati alla commercializzazione in Italia perché dovrebbero fare i conti con le nuove regole imposte all’estrazione che chiedono il versamento dell’Iva direttamente  all’erario.

L’estrazione

L’estrazione dei beni da un deposito Iva deve ora far i conti con il nuovo obbligo di versamento diretto  dell’imposta all’erario che colpisce dal 1 aprile 2017 l’utilizzazione o la commercializzazione dei beni sul territorio nazionale. Questa è sicuramente la novità più importante della riforma del 2016 dei depositi Iva, novità che se non ben valutata potrebbe portare all’abbandono dell’istituto da parte delle imprese. 

In particolare, il comma 6 dell’art. 50-bis, integralmente riscritto, a differenza della formulazione vigente fino al 1 aprile 2017, secondo cui l’estrazione dei beni dal deposito Iva avviene mediante autofattura, prevede modalità differenti di assolvimento dell’imposta a seconda della tipologia di beni oggetto di estrazione.

Tale differente modalità di assolvimento dell’Iva varia a seconda che i beni immessi in deposito e poi estratti provengano da uno Stato appartenente all’Unione europea ovvero da uno Stato extra-Ue o ancora che si tratti di beni nazionali. Si legge, infatti, che per l’estrazione dei beni che sono stati introdotti nel deposito Iva a seguito di un acquisto intracomunitario, l’operazione di estrazione che chiude il precedente acquisto intracomunitario viene realizzata dal soggetto che procede all’estrazione mediante assolvimento dell’imposta, provvedendo alla integrazione della fattura relativa all’acquisto intracomunitario, con l’indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta. Detta fattura va poi annotata per la variazione in aumento nel registro delle fatture emesse, di cui all’art. 23 del DPR 633/1972 entro quindici giorni dalla data di estrazione, con riferimento a quest’ultima, e nel registro delle fatture ricevute, di cui all’art. 25 del medesimo DPR 633/1972 entro il mese successivo a quello di estrazione.

In caso di estrazione di beni precedentemente immessi in libera pratica ed introdotti nel deposito Iva, l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione mediante autofattura, previa prestazione di idonea garanzia, con i contenuti e con le modalità definite con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Detto soggetto, inoltre, è tenuto a comunicare al gestore del deposito Iva, l’attestazione della prestazione della garanzia ovvero dell’attestazione di essere in una delle condizioni di esonero (quali ad esempio soggetto AEO – operatore economico autorizzato ovvero soggetto considerato di notoria solvibilità ai sensi dell’art. 90 del TULD),  i dati relativi alla liquidazione dell’imposta, anche ai fini dello svincolo della garanzia con cui ha introdotto le merci. La garanzia prestata al momento della introduzione in deposito Iva di detti beni immessi in libera pratica, se il soggetto che estrae è lo stesso che ha introdotto i beni nel deposito, ha validità anche nella fase di estrazione. In caso contrario l’operatore dovrà fornire una apposita garanzia con valenza di almeno 6 mesi dalla data di estrazione.

In tutti gli altri casi, l’imposta è parimenti dovuta dal soggetto che procede all’estrazione, ma è versata in nome e per conto di tale soggetto dal gestore del deposito che, peraltro, è solidalmente responsabile dell’imposta stessa. In questi casi il pagamento dell’imposta deve avvenire entro il 16 del mese successivo a quello di estrazione, attraverso un versamento diretto con il modello F24, con divieto di avvalersi della compensazione “orizzontale” di cui all’art. 17 del DLgs. 241/97. (1)

Ulteriore eccezione al pagamento diretto è stata fissata per coloro che, avendo lo “status” di esportatori abituali, possono scegliere  di procedere all’estrazione dei beni dal deposito Iva mediante l’utilizzo del plafond.

Nella nuova formulazione del comma 6 dell’art. 50-bis del DL 331/93, infatti, si legge che qualora il soggetto che procede all’estrazione dei beni dal deposito si qualifica come esportatore abituale e intende procedere all’estrazione dei beni stessi senza il pagamento dell’imposta mediante l’utilizzo del plafond, così come previsto dall’art. 8, comma 1, lett. c) del DPR 633/1972, è tenuto a trasmettere la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate che rilascia apposita ricevuta telematica, secondo le modalità ordinariamente previste per l’acquisto da fornitori nazionali.

Con le modifiche introdotte nel 2016, all’estrazione per l’utilizzazione o la commercializzazione  in Italia non è più prevista la condizione che chi estrae deve essere iscritto alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura da almeno un anno e che deve dimostrare una effettiva operatività con attestazione di regolarità nei versamenti Iva. In effetti, il decreto che regola le modalità e le condizioni per la garanzia dovuta all’estrazione prevede che chi estrae deve fornire al depositario l’attestazione di essere in regola per l’ultimo triennio (ovvero per un periodo minore se l’impresa è neo costituita) con le dichiarazioni e con i versamenti Iva. Inoltre deve attestare di non aver ricevuto atti di rettifica o di accertamento nell’ultimo triennio ovvero di non essere a conoscenza dell’inizio di procedimenti penali o di condanne o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 5, 8, 10, 10-ter, 10 quater e 11 del Dlgs 74/2000 e dall’art. 216 del regio decreto 267/1942.

Responsabilità del depositario e sanzioni

Un punto delicato da sottolineare è che le nuove regole imposte per l’estrazione dei beni da un deposito Iva determinano per il depositario adempimenti e responsabilità del tutto innovativi che si sommano a quelli attualmente vigenti.

In caso di mancato pagamento dell’imposta si rende applicabile la sanzione prevista dall’art. 13 del decreto legislativo 471/1997, di cui il depositario è solidalmente responsabile con chi estrae. Ovviamente, nel caso in cui chi estrae assolve l’imposta con utilizzo del plafond Iva, senza averne la disponibilità, della relativa sanzione risponde solo chi estrae e non il depositario. Infine, in caso di importazione e di presentazione della garanzia da parte dell’importatore, il depositario ha anche un obbligo di comunicazione alla dogana dei dati di estrazione.

Si badi che l’inosservanza delle regole previste in capo al gestore del deposito nella fase dell’estrazione, in forza dell’articolo 50-bis comma 8 del DL 331/1993, viene valutata per la revoca dell’autorizzazione. È infatti previsto che la violazione da parte del gestore del deposito Iva degli obblighi ad esso demandati è valutata ai fini della revoca dell’autorizzazione alla gestione del deposito ovvero ai fini della esclusione dall’abilitazione a gestire come deposito Iva i magazzini generali e i depositi doganali.

Il deposito Doganale

Il deposito doganale, come evidenziato è un regime che è stato sostanzialmente modificato dal nuovo codice doganale dell’Unione europea dal 1 maggio 2016. Il deposito doganale  è il regime speciale sospensivo che consente alle merci extra UE di essere immagazzinate all’interno del territorio doganale dell’UE, in sospensione dai dazi e dall’applicazione delle altre misure tributarie ed extratributarie gravanti sulle merci.

L’istituto si intreccia naturalmente con quello del deposito Iva che, seguendo la medesima ratio, è dedicato alle merci unionali – dunque anche già immesse in libera pratica – che, a determinate condizioni, possono essere immagazzinate in sospensione dall’applicazione della fiscalità legata al consumo.

Nel nuovo Codice Doganale dell’UE, il deposito doganale ha conosciuto un notevole sviluppo, con una generale ridefinizione dell’istituto all’insegna della semplificazione e dello snellimento delle procedure di stoccaggio, privilegiando sistemi di controllo contabile piuttosto che sistemi di controllo fisico. Inoltre il deposito doganale consente di gestire meglio alcune tipologie di operazioni anche utilizzando merci nazionali o unionali con il regime dell’equivalenza.

Considerazioni

Da questo primo quadro delle novità già si capisce che le modifiche vanno verso una liberalizzazione dell’ammissione al regime del deposito Iva con contestuale stretta sulle regole di assolvimento dell’imposta al momento dell’estrazione. Quello che dovremmo verificare nello sviluppo del nostro approfondimento quale sono i vantaggi fiscali e non solo che si creano a gestire la merce in un deposito sfruttando al massimo le regole di non assoggettamento ad imposta per le attività di cessione dei beni nel deposito ovvero di lavorazione degli stessi nel deposito o in locali limitrofi.  

Inoltre questa analisi andrà svolta tenendo conto dell’intera operatività dell’azienda e in relazione a tutti i flussi di merce. Questo ci consentirà di abbinare il deposito Iva ad un deposito doganale ovvero ci consentirà di pianificare correttamente l’utilizzo di altri regimi sospensivi.

Infine sarà interessante anche verificare le modalità di vendita verso operatori economici nazionali o internazionali ovvero verso i consumatori finali per migliorare la gestione di piattaforme logistiche con una particolare attenzione ai modelli di vendita tramite e-commerce. 

 

(1) Considerando che allo stato attuale il decreto che regola la prestazione della garanzia non è stato ancora emanato si sottolinea che la forma di pagamento diretto con F24  è dovuta (in modo transitorio) anche per l’estrazione dei beni precedentemente immessi in libera pratica ed introdotti nel deposito Iva. Tale modalità di assolvimento dell’imposta verrà meno nel momento in cui verrà  emanato il predetto  decreto che fissa regole e condizioni di funzionamento della garanzia.

 

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