Benedetto Santacroce
Anna Abagnale
La normativa italiana ovvero interna degli Stati membri dell’Unione non può escludere il diritto alla riduzione della base imponibile Iva in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo. È comunque ammessa la facoltà di derogare alla rettifica, ma non può estendersi al di là dell’incertezza circa la definitività del mancato pagamento, incertezza che dovrebbe piuttosto coincidere con la probabilità ragionevole che il debito non sia più saldato. In ogni caso è incompatibile con la Direttiva Iva una norma che subordina il recupero dell’imposta all’infruttuosità di una procedura concorsuale che si protragga per più di 10 anni.
Questi i principi desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia dalle “striminzite” conclusioni pubblicata ieri, decidendo infine le sorti dell’art. 26 del nostro Decreto Iva. Il caso Di Maura ha tenuto tale norma in bilico tra compatibilità ed incompatibilità col diritto unionale già dal primo momento della sua riformulazione.
Può il diritto a detrarre l’Iva non ricevuta a causa di un mancato pagamento essere compresso al punto tale da dover attendere l’esito negativo di una procedura concorsuale per essere esercitato? È stata questa la domanda che fin da subito ci siamo posti, e che aveva cagionato in dottrina non poche perplessità (vedi IlSole24Ore del 9.6.17).
Finalmente la Corte risponde. E sul fatto che gli Stati membri non abbiano libertà di scelta circa la possibilità di ammettere o meno la rettifica per il mancato pagamento, non transige. Essi possono introdurre una deroga al riguardo, solo in quanto giustificata dalla necessità di far fronte all’incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura, deroga che però non può spingersi fino alla totale esclusione della rettifica senza violare il principio di neutralità. Fino a che punto il meccanismo di riduzione della base imponibile possa essere limitato lo decide poi il principio di proporzionalità: di certo una norma che fa coincidere la dissoluzione di ogni incertezza del mancato pagamento con il momento in cui il credito diventa definitivamente irrecuperabile – come il caso della chiusura del fallimento – non può dirsi proporzionale. Lo stesso fine, a parere dei giudici unionali, potrebbe essere perseguito in presenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche considerando la possibilità che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nel caso in cui successivamente il pagamento sia effettuato. La conseguenza è che l’Italia è obbligata a rivedere la sua norma sulle note di variazioni Iva collegate alle procedure concorsuali. Il compito di individuare le prove della probabile durata prolungata del mancato pagamento spetta pur sempre alle autorità nazionali. Anche se la Corte non parla esplicitamente di incompatibilità della norma interna con quella unionale, è piuttosto lo stato dei fatti attuale delle procedure concorsuali a determinare il contrasto con l’ordinamento Ue. Se la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita solo dopo una decina d’anni, in concreto si determina uno svantaggio eccessivo in termini di liquidità delle imprese italiane rispetto alle loro concorrenti europee. Occorrerebbe, pertanto, che il legislatore, dopo un’attenta e concreta analisi sulla tempistica italiana delle procedure concorsuali, arrivi alle stesse conclusioni della Corte: 10 anni sono decisamente troppi per non consentire a chi già ha subito il danno dovuto al fatto che il cliente non abbia saldato le proprie fatture di recuperare almeno l’Iva relativa.
Come risolvere il problema d’altronde lo stesso legislatore già lo sa, ci aveva provato con la legge di Stabilità 2016. Si tratta di anticipare almeno all’apertura della procedura la possibilità di effettuare la variazione in diminuzione. Il che non sarebbe poi tanto lontano da ciò che è previsto per il mondo delle imposte dirette, dove le perdite su crediti sono deducibili in ogni caso dal dies a quo dell’apertura della procedura a carico del debitore (art. 101, comma 5, del Tuir) e dove addirittura per i crediti di modesta entità la deducibilità è ammessa decorsi solo 6 mesi dalla scadenza di pagamento del credito. Pertanto, secondo chi scrivere, sarebbe almeno necessario (e non solo!) equiparare le due legislazioni.