Simona Ficola
Benedetto Santacroce
Il mancato pagamento, anche in assenza della chiusura di una procedura concorsuale, deve ammettere l’emissione di una nota di credito. Uno dei principi fondamentali della normativa Iva prevede che la base imponibile ai fini dell’imposta è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il corollario che ne deriva consiste nel fatto che l’Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di Iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo. Detto corollario, poi, va letto unitamente ad altro principio fondamentale del sistema Iva, ovvero quello della neutralità dell’imposta, secondo cui l’operatore economico non deve rimanere gravato in via definitiva dall’Iva dovuta nell’ambito della propria attività, in quanto il funzionamento normale del sistema comune dell’Iva garantisce la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività e tale principio deve essere applicato fino allo stadio del consumo finale, ovvero fino all’acquisizione definitiva dell’imposta sul bene o sul servizio.
Nell’applicazione fisiologica dell’imposta, la neutralità del tributo è garantita, nella fase del processo economico in cui il soggetto passivo è parte attiva dell’operazione, dalla possibilità per costui di recuperare l’Iva nei confronti del cessionario/committente esercitando la rivalsa. In questo modo il soggetto rimane indenne dal tributo, spostando il peso finanziario dell’imposta sul cessionario/committente (in caso di consumatore finale o di soggetto che si comporta come tale) che, a sua volta, resta indenne dall’imposta esercitando il diritto a detrazione (tranne particolari ipotesi di limiti al diritto a detrazione).
Ebbene, occorre porre l’attenzione sugli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del cedente/prestatore contro il mancato pagamento da parte del cessionario/committente, del corrispettivo e della relativa Iva addebitata in rivalsa.
A riguardo è importante rilevare come le norme unionali, in particolare l’art. 90 della Direttiva 2006/112/CE, da un lato impongono un obbligo per gli Stati membri dell’Unione di ridurre l’imponibile o l’imposta in presenza di modifiche del rapporto contrattuale, che abbiano fatto venire meno, in tutto o in parte, l’operazione (“alle condizioni stabilite dagli Stati membri”), mentre dall’altro è riconosciuta una mera facoltà agli Stati stessi di intervenire per consentire una variazione in diminuzione in caso di mancato pagamento che non abbia fatto venire meno l’operazione originaria. In conformità a quanto disposto a livello unionale, il legislatore nazionale è intervenuto sul tema con le modifiche ai commi 2 e 4 dell’art. 26 del DPR 633/1972 (nel testo in vigore dal 1° gennaio 2016), limitando la variazione in diminuzione “in caso di mancato pagamento” solo qualora il cessionario/committente sia assoggettato a procedure concorsuali o ad azioni individuali rimaste infruttuose; solo in tale ipotesi, peraltro, il cedente/prestatore acquisirebbe il diritto di portare in detrazione, ex. art. 19, l’imposta corrispondente alla variazione.
Sul tema, la Corte di Giustizia, con la sentenza relativa alla causa C-246/16, ha precisato che la normativa interna degli Stati membri dell’Unione non può escludere il diritto alla riduzione della base imponibile Iva in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo e, pur ammettendo la possibilità di derogare a tale rettifica, ha precisato che la riduzione della base imponibile non può estendersi al di là dell’incertezza circa la definitività del mancato pagamento: incertezza che, secondo i giudici unionali, dovrebbe piuttosto coincidere con la probabilità ragionevole che il debito non sia più saldato. Peraltro, la Corte ha anche precisato che in ogni caso è incompatibile con la Direttiva Iva una norma che subordina il recupero dell’imposta all’infruttuosità di una procedura concorsuale che si possa protrarre per più di 10 anni.
Posto questo principio, con la successiva sentenza relativa alla causa C-462/16, la Corte di Giustizia UE ha ulteriormente precisato che la normativa unionale (in particolare l’art. 90, paragrafo 1 della Direttiva 2006/112/CE) non presuppone una modifica successiva dei rapporti contrattuali affinché la norma sia applicabile. Infatti, essa obbliga in via di principio gli Stati membri a procedere alla riduzione della base imponibile ogniqualvolta, successivamente alla conclusione di un’operazione, il corrispettivo non venga totalmente o parzialmente percepito dal soggetto passivo. Pertanto, secondo la Corte, qualora il corrispettivo non venga riscosso dal soggetto passivo a causa, ad esempio, di uno sconto concesso da quest’ultimo, vi è stata comunque una riduzione di prezzo dopo il momento in cui si è realizzata l’operazione, conformemente a quanto disposto dalla norma, ed è quindi possibile procedere con la emissione di una nota di variazione in diminuzione.