La partecipazione necessaria alla procedura concorsuale e la conclusione della procedura stessa costituiscono per il legislatore nazionale le condizioni necessarie per consentire l’emissione di una nota di variazione. Queste condizioni non sembrano coerenti con la giurisprudenza unionale sia con riferimento alla Causa Di Maura C-246/16 che in relazione alla causa C 396/16. L’art. 26 del decreto Iva limita la variazione in diminuzione “in caso di mancato pagamento” solo qualora il cessionario/committente sia assoggettato a procedure concorsuali o ad azioni individuali rimaste infruttuose. Sul tema, l’Agenzia delle entrate con la circolare 77/E/2000 ha individuato in dettaglio, per ciascuna procedura concorsuale, l’evento a decorrere dal quale è possibile procedere alla emissione della nota di variazione in diminuzione, al fine di recuperare l’Iva originariamente versata all’Erario e mai acquisita, a titolo di rivalsa, dal cessionario/committente. In particolare, in caso di procedura fallimentare, è richiesta la partecipazione del creditore alla procedura concorsuale e l’attesa della chiusura dalla procedura di fallimento.
Sulla prima condizione, partecipazione alla procedura, non sembrerebbe possibile, secondo la prassi, procedere alla emissione della nota di variazione in diminuzione se non vi è stata l’insinuazione al passivo. Il fatto che la procedura fallimentare si sia chiusa senza soddisfazione di nessun creditore chirografario, quindi, non sarebbe un presupposto sufficiente, ovvero non costituirebbe il titolo in capo al creditore per poter emettere la nota di variazione. Appare chiaro come detta stringente interpretazione non sia perfettamente compatibile con i principi unionali, in quanto, pur non essendosi insinuato al passivo della procedura fallimentare per il credito vantato nei confronti del proprio cliente, è comunque possibile che sussistano gli elementi di certezza e di ragionevolezza in merito alla irrecuperabilità dell’imposta.
Partendo quindi dalla ratio della norma, pur riconoscendo che il legislatore dell’Unione ha inteso lasciare a ciascuno Stato membro la scelta di individuare se la situazione di non pagamento attribuisca diritto alla riduzione della base imponibile alle condizioni che esso stabilisce o se siffatta riduzione non sia ammessa (così come evidenziato dalla Corte di Giustizia nella sentenza C-404/16), si ritiene che in capo alla società creditrice, pur non essendosi insinuata al passivo della procedura fallimentare per il credito vantato nei confronti del cliente, sussistano gli elementi di certezza e ragionevole impossibilità di recupero dell’imposta nella ipotesi in cui il soggetto creditore è comunque fallito. Pertanto, anche al fine di garantire il principio generale di neutralità e di proporzionalità dell’Iva previsto dalla Direttiva 2006/112/CE che comunque nel nostro ordinamento, è applicabile, efficace e prevalente sulle fonti di diritto interno, vi sarebbero i presupposti per l’emissione di una nota di variazione in diminuzione per il recupero dell’imposta addebitata in rivalsa a seguito dell’accertamento.
Con riferimento all’esercizio del diritto a detrazione conseguente all'emissione delle note di variazione, è intervenuto di recente il giudice unionale che, con la sentenza relativa alla causa C-396/16, ha precisato che la rettifica della detrazione dell’Iva operata all’atto dell’acquisto, non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, per le quali sia stata emessa una nota di variazione in diminuzione. Ciò in quanto, dichiara la Corte, uno Stato membro non è tenuto a prevedere espressamente un obbligo di rettifica delle detrazioni in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate.
Peraltro, l’art. 185 della Direttiva 2006/112/CE dispone una deroga all’obbligo di rettifica della detrazione in caso di variazione dell’imposta proprio nelle ipotesi di “operazioni totalmente o parzialmente non pagate”.
Ebbene, l’art. 26 del decreto Iva, qualificando le procedure concorsuali come causa del mancato pagamento in tutto o in parte del prezzo convenuto, riconosce il diritto in capo al debitore concordatario al mantenimento della detrazione dell’Iva conseguente all’operazione originaria, senza dover provvedere al versamento dell’imposta oggetto di rettifica.