Credito d’imposta per ricerca e sviluppo in cerca delle corrette sanzioni

Credito d’imposta per ricerca e sviluppo in cerca delle corrette sanzioni

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Diego Avolio
Benedetto Santacroce

L’utilizzo dei crediti di imposta per “ricerca e sviluppo” inizia ad essere al centro dei controlli dell’Amministrazione Finanziaria. Le questioni interpretative interessano, innanzitutto, il requisito della “novità” che dovrebbe caratterizzare la ricerca per potere beneficiare dell’agevolazione. Tali contestazioni si riflettono pure sul piano sanzionatorio allorquando l’Ufficio accertatore ritiene di elevare le sanzioni per indebita compensazione di un credito d’imposta considerato “inesistente”, piuttosto che “non spettante”.

Sul concetto di “novità” va detto che l’Agenzia delle Entrate ha sempre legato la definizione di prodotto o processo “nuovo” al concetto di “innovazione” nelle sue diverse gradazioni, chiarendo che - ai fini della “eleggibilità” delle attività di ricerca e sviluppo - rimarrebbero escluse tutte quelle trasformazioni di processo o di prodotto che rappresentano un mero “adattamento della tecnologia esistente” (Circolare 10 maggio 2005, n. 25/E). Consegue che ogni qual volta l’oggetto dell’attività di ricerca e sviluppo costituisce il miglioramento di un processo produttivo, l’eventuale contestazione relativa alla non spettanza dell’agevolazione non potrebbe operare.

Più in generale, va sgombrato il campo da un equivoco che sembra caratterizzare talune contestazioni elevate dagli Uffici accertatori. È ovvio, infatti, che qualunque ricerca parta inevitabilmente dai risultati di ricerche precedenti. Ragionare in maniera differente equivarrebbe (per assurdo) a dire che, siccome il campo magnetico rotante è stato studiato da Galileo Ferraris, da allora nessun lavoro sulle macchine elettriche sarebbe degno di essere chiamato ricerca.
Nello stesso senso si sarebbe pure espressa l’Agenzia delle Entrate, secondo cui sarebbero agevolabili “le modifiche di processo o di prodotto che apportano cambiamenti o miglioramenti significativi delle linee e/o delle tecniche di produzione o dei prodotti (quali, ad esempio, la sperimentazione di una nuova linea produttiva, a modifica delle caratteristiche tecniche e funzionali del prodotto)” (Circolare 10 maggio 2005, n. 25/E).

Quanto ai profili sanzionatori, a quanto consta gli Uffici accertatori sono soliti elevare, quanto meno in un primo tempo, la sanzione per indebita compensazione di un credito d’imposta considerato “inesistente per mancanza del requisito costitutivo”, piuttosto che “non spettante”. Si tratta di una scelta di non poco conto, dal momento che la sanzione per utilizzo del credito d'imposta “non spettante” è pari al 30% del credito stesso (art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997). Viceversa, nel caso di contestazione di un credito “inesistente” si applicherebbe la sanzione dal 100% al 200% (art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997), senza possibilità, peraltro, di potere fruire della “definizione agevolata delle sanzioni” (artt. 16, comma 3, e 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997).

Si è dell’avviso che tale modus operandi sia contrario alla stessa ratio dell’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997, pure considerando i chiarimenti forniti dalla Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015 di “revisione del sistema sanzionatorio”.

Invero, la sanzione prevista per l’indebita compensazione di crediti “inesistenti” dovrebbe riguardare le sole ipotesi in cui ricorra un comportamento fraudolento del contribuente, come nel caso in cui venga “allestito” un apparato contabile ed extracontabile per documentare (sulla carta) attività di ricerca e sviluppo che, in realtà, non sono mai state svolte; o ancora, laddove il credito d’imposta venga creato artificiosamente in sede di compilazione del Modello F24 (Risoluzione 8 maggio 2018, n. 36/E). Viceversa, nel caso di questioni interpretative, quali ad esempio la lamentata carenza del requisito della “novità” della ricerca per potere beneficiare dell’agevolazione, non potrebbe certo ricorrere l’ipotesi del credito “inesistente”, ma al più quella del credito “non spettante”. Pare indubbio, infatti, che laddove il credito d’imposta sia stato inserito nella dichiarazione dei redditi, accompagnato dalla relazione illustrativa dei progetti, come pure dalla certificazione del revisore legale dei conti attestante l’effettività dei costi sostenuti, non possa essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento, avendo lo stesso fornito, in sede di eventuale verifica, tutta la documentazione comprovante le modalità di calcolo del credito d’imposta.

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