Nelle compravendite di carburanti, non possono essere utilizzate le lettere di intento e, dunque, non può essere utilizzato lo status di esportatore autorizzato per effettuare operazioni non imponibili IVA, salvo che a vendere il prodotto siano depositi commerciali e ad acquistarlo siano imprese di autotrasporto.
Nell’ottica di una fortissima spinta antifrode, infatti, il D.L. n. 124 del 2019 (Decreto Fiscale) ha introdotto il comma 941ter all’art. 1 della L. n. 205 del 2017, con il quale si dà esecuzione ad un’istanza da più parte rappresentata, per la quale il fenomeno delle lettere di intento ideologicamente false ha continuato a proliferare nonostante le misure amministrative di gestione e di controllo adottate nell’ultimo triennio, configurandosi come lo strumento - tanto semplice quanto il principale - con il quale viene evasa l’IVA nello specifico settore.
La norma, tuttavia, nell’intento di garantire gli interessi di tutte le parti, concede un’ultima eccezione al divieto: possono infatti essere emesse lettere di intento da parte di imprese che esercitano l’attività di autotrasporto di cose e persone, come elencate all’art. 24ter TU Accise, che acquistino prodotto per l’esercizio dell’attività di impresa e da depositi commerciali, ossia da operatori non qualificabili come soggetti obbligati ai fini delle accise o che stoccano prodotto presso tali soggetti obbligati, come i c.d. traders.
Obiettivamente, la norma in questione introduce una stretta molto rilevante, riducendo drasticamente il numero di dichiarazioni di intento emettibili ed il novero di soggetti che possono procedere con tale pratica.
Sul lato attivo, infatti, l’erario sceglie di compiere un salto soggettivo rilevante, assicurandosi l’accisa e l’IVA, anzitutto, da parte di depositi dai quali il prodotto è immesso in consumo, con evidente beneficio di cassa. Questi soggetti, infatti, devono vendere comunque con IVA e, si assume, versarla.
Sul lato passivo, invece, la scelta è nel senso di concentrare l’ipotesi di non imponibilità solo per le forniture effettuate in favore di imprese di trasporto internazionale, che potrebbero maturare un credito IVA strutturale per i servizi non imponibili effettuati ai sensi dell’art. 9 DPR IVA.
Fin qui, il sistema ora introdotto ed in attesa di conversione, ma le incognite ed i dubbi applicativi non sono pochi.
Anzitutto, si rileva il fatto che, raggiunto il risultato dell’eliminazione delle lettere di intento dal sistema dei carburanti, la riproposizione di una ulteriore deroga al sistema espone, per natura, ad ulteriori rischi di frode, anche in considerazione della dubbia formulazione normativa adottata. In effetti, può non essere chiaro quali siano i soggetti aventi titolo alla non imponibilità (il riferimento al gasolio commerciale del TUA è fuori sistema o per lo meno equivoco) e quali siano gli oneri di controllo della destinazione di utilizzo da parte dei fornitori (posto che questo pare essere un requisito essenziale).
In secondo luogo, e facendo il paio con quanto sopra, si può osservare che alcuni operatori del settore stanno censurando l’eccesso di realismo del legislatore, posto che le forniture in esenzione richieste dai trasportatori sono ad oggi molto poche, anche se questo è un dato tutto da appurare.
Ancora, è il caso di osservare come il favore del riconoscimento di una situazione creditoria patologica per i trasportatori è per lo meno compensato dalla teorica traslazione di tale situazione in capo ai depositi commerciali, che dovranno comprare sempre con IVA, potendo trovarsi a vendere senza imposta.
Da ultimo, è opportuna una riflessione, generale, sul sistema delle dichiarazioni di intento e del relativo regime di responsabilità, sempre troppo sproporzionato, in sede di controllo, in favore dell’erario, non solo per i frodatori, come giusto, ma anche per i fornitori in buona fede.