Credito di ricerca e sviluppo: le giuste sanzioni secondo Assonime
Assonime, con la Circolare n. 23 del 14 novembre 2019, ha affrontato il tema del regime sanzionatorio applicabile agli errori commessi dai contribuenti nell'identificazione dell'ambito oggettivo al fine di usufruire del credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo ex art. 3, del D.L. 145/2013.
Segnatamente, si rileva che - in tali casi - la sanzione più appropriata da applicarsi, in capo al contribuente, dovrebbe essere quella per il credito “non spettante”, piuttosto che quella più grave prevista per l’utilizzo di un credito “inesistente”, da applicarsi esclusivamente nelle più circoscritte ipotesi connotate da comportamenti fraudolenti. Secondo Assonime, la condotta delle imprese che hanno commesso errori nell’individuazione delle attività agevolate non potrebbe “considerarsi fraudolenta nel caso in cui tali soggetti abbiano adempiuto ai vari oneri documentali previsti in materia e abbiano svolto in concreto attività che, in ogni caso, si innestano in più ampi processi di innovazione (di prodotti e servizio)”.
Ciò che accade, all’atto dei controlli, è che i verificatori - qualora ritengano che le attività in relazione alle quali l’impresa abbia beneficiato del credito di imposta per “ricerca e sviluppo” non rientrino nel novero di quelle considerate agevolate - applicano tout court la sanzione prevista in caso di utilizzo di crediti inesistenti – ossia dal 100 al 200% della misura dei crediti stessi ex art. 13, comma 5 del D. Lgs. n. 471/1997 – senza ulteriormente indagare circa la possibilità di applicare la sanzione prevista in caso di utilizzo crediti non spettanti, pari al 30% del credito utilizzato in compensazione.
Già l’Agenzia delle entrate – con la Circolare n. 5 del 16 marzo 2016 – aveva precisato che: “…si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633… …si configura una ipotesi di inesistenza del credito nel caso in cui non siano stati sostenuti i costi per attività di ricerca e sviluppo…”. In tali casi – ed in linea con le stesse indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria con la recente Risoluzione n. 36 del 8 maggio 2018 - la sanzione prevista per l’indebita compensazione di crediti inesistenti dovrebbe riguardare le sole ipotesi in cui ricorra un comportamento fraudolento del contribuente, come nel caso in cui venga “allestito” un apparato contabile ed extracontabile per documentare (sulla carta) attività di ricerca e sviluppo che, in realtà, non sono mai state svolte; o ancora, laddove il credito d’imposta venga creato “artificiosamente” in sede di compilazione del Mod. F24, sfuggendo così ai controlli dei modelli di dichiarazione dei redditi.
È indubbio infatti che, laddove il credito d’imposta - compensato tramite Modelli F24 - sia stato correttamente inserito nelle dichiarazioni dei redditi presentate, accompagnato dalla relazione illustrativa dei progetti, come pure dalla certificazione del revisore legale dei conti attestante l’effettività dei costi sostenuti, non possa essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento, avendo lo stesso fornito, in sede di eventuale verifica, tutta la documentazione al fine di poter beneficiare a pieno titolo della disciplina agevolativa in parola.
Alla luce di tali considerazioni, l’Associazione ritiene che laddove l’impresa abbia commesso un errore di individuazione circa le attività considerate eleggibili al credito di imposta, la condotta contestata non debba mai considerarsi “fraudolenta” ogni qual volta l’impresa abbia adempiuto ai detti oneri documentali ovvero quando venga accertato che la stessa abbia svolto in concreto attività che rientrano nei processi di innovazione di un prodotto e di un servizio.