La situazione di incertezza delle imprese, sulla sospensione dei pagamenti verso l’erario derivata dai decreti Cura Italia e Liquidità, che si riverbera sui committenti relativamente agli obblighi di controllo delle ritenute, riguarda anche i rapporti con soggetti pubblici o soggetti privati gestori di pubblici servizi che non sono tenuti a ricevere il Durf, ma che ottengono dal prestatore un’autocertificazione. In effetti, la risposta 7.1 della circolare 9/E dell’Agenzia delle entrate conferma la proroga fino al 30 giugno 2020 della validità dei Durf, rilasciati alle imprese fino al 29 febbraio 2020, ma nulla dice in merito al comportamento richiesto alle imprese (appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici) nei rapporti “labour intensive” quando i committenti sono uno dei soggetti sopra individuati.
La sospensione
Tutti i committenti, a prescindere che si tratti di pubblici o privati, non possono contare sulla sospensione degli adempimenti tributari stabilita dall’articolo 62 del Dl 18/2020. Vengono sollevati dai controlli sui modelli F24 delle ritenute e sugli altri documenti relativi alle retribuzioni erogate ai dipendenti, che devono essere messi loro a disposizione da parte delle imprese, e così, di conseguenza, dalle sanzioni per inadempimento a loro carico, solo in ragione dell’accesso di queste stesse imprese alla sospensione dei pagamenti delle ritenute alla fonte in applicazione degli articoli 61, 62 del Dl “cura Italia” o 18 del Dl “liquidità” (circ. 8/E) o della presentazione di un Durf in corso di validità.
Durf e autocertificazione
Per i committenti pubblici o privati gestori di pubblici servizi il Provvedimento n. 54730/20, allegato A, dell’Agenzia delle Entrate nei rapporti con i committenti privati gestori di pubblici servizi (società che gestiscono servizi pubblici quali parcheggi, acque, raccolta rifiuti, trasporti) e organi della Pubblica amministrazione (in questo secondo caso limitatamente ai contratti che rientrano nell’attività commerciale), stabilisce che il Durf, in quanto certificato, deve essere obbligatoriamente sostituito da un’autocertificazione (articoli 46 e 47 Dpr. 445/200). Lo prevede l’articolo 40, dello stesso Dpr., modificato dall’articolo 15, comma 1, della legge 183/2011 “decertificazione”. Le imprese che hanno un contratto labour intensive con un committente che, per legge, non può ricevere un Durf, se vogliono evitare il pagamento delle ritenute in modo distinto, con la successiva consegna delle deleghe F24 e la comunicazione dei dati previsti dal medesimo articolo 17-bis, comma 2, ma posseggono un Durf in corso di validità, per proroga perché rilasciato fino al 29 febbraio 2020 (articolo 23 Dl. 23/2020), o successivamente nel perimetro temporale di ordinaria validità (quattro mesi dal rilascio), dovranno utilizzarlo dandone atto nell’autocertificazione. Infatti, dall’autocertificazione si deve poter desumere che l’attestazione di regolarità discende dalle risultanze di un Durf in corso di validità. Questo non comporterà, da parte delle imprese, la necessità di ripresentazione di una nuova autocertificazione nei casi in cui le precedenti, eventualmente già presentate e quindi già oggi in possesso del committente, facevano menzione della regolarità emergente da un Durf rilasciato nell’arco temporale di copertura e validità. Appare invece più delicata la situazione delle imprese che non siano in possesso di un Durf in corso di validità e non possano ottenerlo in questa fase. Dovrebbe essere consentito, in ragione delle motivazioni che hanno portato a riconoscere la proroga della validità del Durf, l’autocertificazione delle condizioni di regolarità nei rapporti con questa tipologia di committenti. Infatti, questi ultimi potranno verificare la sussistenza dei requisiti con le procedure dell’articolo 71 del Dpr 445/2000, direttamente presso l’agenzia delle Entrate (direttiva ministero Pa e semplificazione n. 14/2011).