Nelle cessioni di beni intraUE con clausola ex works la fattura di vendita unitamente al CMR firmato dal trasportatore e dal cessionario per ricevuta, alla documentazione bancaria attestante il pagamento della merce, alla dichiarazione del cessionario di ricevimento dei beni, oltre alla corretta presentazione degli INTRASTAT può costituire la prova del trasporto intraUE, anche se non fa scattare la presunzione prevista dal Reg 1912/2018.
A ritenere legittimo il descritto quadro probatorio è la prassi nazionale, risposta ad interpello n. 117 pubblicato il 23 aprile 2020 sul sito delle Entrate.
Il regime delle prove degli scambi intraunionali, come si ricorda, è stato modificato dal Regolamento (UE) 1912/2018, intervenuto nel corpus del Regolamento di esecuzione (UE) 282/2011, inserendo l’art. 45-bis, in vigore dallo scorso 1° gennaio 2020.
In sostanza la nuova norma disciplina i casi in cui si presume soddisfatta la condizione del trasferimento dei beni da uno Stato membro all’altro, condizione necessaria – insieme alle altre di cui all’art. 138 della Direttiva (CE) 2006/112 – affinché l’operazione non sia tassata sul piano IVA nel Paese del cedente. Tuttavia, il fatto che il cedente non sia in possesso della documentazione richiesta affinché la presunzione operi non significa automaticamente che il regime dell’art. 138 non si applichi. In questo caso, spetta al cedente dimostrare, con soddisfazione dell’amministrazione finanziaria, che i requisiti per la non imponibilità, trasporto incluso, sono comunque soddisfatti. In altre parole, il cedente può dare prove alternative del trasporto intraUE, che saranno rimesse al vaglio dell’Amministrazione.
Che questa sia l’interpretazione da dare alla nuova norma europea, e che quindi il cedente possa provare la cessione intraUE in modo diverso da quanto previsto dal Regolamento UE, è fuori discussione. Del resto è la stessa Commissione UE ad esprimersi in questi termini (cfr. Note esplicative del 4 dicembre 2019). In seguito alla risposta di ieri questa sembrerebbe essere anche l’interpretazione delle Entrate, che già nel precedente documento di prassi (risposta ad interpello n. 100/2019 – interpello pubblicato prima dell’entrata in vigore del citato regolamento) avevano ritenuto che, in riferimento ad una cessione intraUE franco fabbrica, gli ulteriori documenti utilizzati a corredo del documento di trasporto, attestante la destinazione dei beni e normalmente firmato dal trasportatore per presa in carico, possono costituire prova dell'avvenuta cessione a condizione che:
- dai descritti documenti siano individuabili i soggetti coinvolti (cedente, vettore e cessionario) e tutti i dati utili a definire l'operazione a cui si riferiscono;
- il cedente conservi le relative fatture di vendita, la documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle precedenti cessioni, la documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e gli elenchi Intrastat.
Fornire tali prove, in luogo di quelle richieste dalla riformata norma europea, non è in definitiva motivo di esclusione del regime di non imponibilità. Anzi è molto più plausibile nel concreto che, qualora il trasporto sia a cura del cessionario, il cedente sia in possesso della suddetta documentazione, in luogo di quella più rigosa richiesta dall’art. 45-bis, par. 1, lett. b) del Regolamento (UE) 282/2011. Ovviamente il non rispetto del regolamento unionale comporta l’inapplicabilità della presunzione legale.