La nota di variazione Iva per i crediti deteriorati libererebbe per le imprese oltre 300 milioni di euro

La nota di variazione Iva per i crediti deteriorati libererebbe per le imprese oltre 300 milioni di euro

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Di Santacroce Benedetto

La possibilità di un recupero più veloce dell’IVA relativa ai crediti rimasti insoluti potrebbe rivelarsi un interessante strumento per fronteggiare i già numerosi problemi delle imprese italiane, profondamente provate dall’emergenza coronavirus.

Il tema di utilizzare in termini meno restrittivi lo strumento della variazione in diminuzione dell’IVA riguardo a crediti non riscossi non è nuovo. Esso è stato già oggetto dell’attenzione di giudici, prassi, dottrina nonché del legislatore della legge di Bilancio 2017. Tuttavia, veniva da quest’ultimo accantonato per il bisogno di generare maggiori entrate che, secondo la stima della relazione tecnica, sarebbero state pari a 340 milioni di euro annui per il periodo 2017-2023. L’emergenza sanitaria, economica, finanziaria potrebbe essere motivo per ridimensionare queste entrate restituendo alle imprese, già fortemente provate dagli eventi attuali, il diritto di recuperare l’IVA in tempi più rapidi a fronte di un mancato pagamento. Il problema si avverte – o meglio si avvertirà di qui a poco se si considera il pericolo reale di fallimento a cui sono esposte molte piccole e medie imprese – nell’ipotesi in cui il debitore sia soggetto ad una procedura concorsuale o esecutiva. Secondo la lettera della norma, l’impresa fornitrice dovrebbe attendere l’esito infruttuoso della procedura per portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione in diminuzione. Ciò significa che si impiegano anni prima di recuperare l’imposta versata all’Erario ma non riscossa dal cliente (soprattutto nelle ipotesi di procedure fallimentari). In un clima di incertezza economica, una norma del genere, dagli altresì incerti profili di incompatibilità con il diritto europeo (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Di Maura), non è più tollerabile. I creditori devono poter ottenere che l’Erario restituisca loro quanto non è stato corrisposto dal debitore inadempiente, a garanzia della neutralità dell’IVA per cui un operatore non deve restare inciso dell’imposta nelle fasi intermedie del ciclo produttivo. L’unico modo per far sì che tale diritto sia effettivo è la possibilità di esercitarlo in tempi brevi, o almeno non eccessivamente lunghi come di fatto si verifica nella pratica. Sicché, ora più che mai, sarebbe auspicabile l’intervento del legislatore che riporti all’apertura della procedura concorsuale la possibilità di emettere una nota di credito, senza doverne attendere l’esito. Inoltre si potrebbe prevedere per i crediti minori (5.000 € per le imprese di rilevante dimensione e 2.500 per le altre imprese) l’emissione della nota di variazione potrebbe essere emessa dopo 6 mesi dalla scadenza del pagamento. Il che non sarebbe poi tanto lontano da ciò che è previsto per il mondo delle dirette, dove le perdite su crediti sono deducibili in ogni caso dal dies a quo dell’apertura della procedura a carico del debitore (art. 101, comma 5, TUIR) e dove per i crediti di modesta entità la deducibilità è ammessa decorsi solo 6 mesi dalla scadenza di pagamento del credito.

Un’agevolazione potrebbe essere prevista, poi, anche dal lato del debitore soggetto a procedura. Si potrebbe pensare di esonerare costui dall’obbligo di registrare la variazione con il segno meno nel registro acquisti nel caso di procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione o piani di risanamento, così come previsto dall’art. 26, comma 5, D.PR 633/1972 nel testo proposto dalla legge di Stabilità 2016 ma mai entrato in vigore. 

In definitiva – come già sostenuto in apertura – la proposta di modifica dell’art. 26 non è nuova ma attuale e permetterebbe di raggiungere più obiettivi con un solo intervento:

  1. dare sostegno alle imprese in difficoltà specialmente se si estende anche all’Iva la previsione di rettifica in caso di crediti minori che non siano soddisfatti entro 6 mesi dalla loro scadenza;
  2. eliminare una probabile incompatibilità della norma interna con quella UE;
  3. allineare la disciplina IVA con quella dettata per le dirette; 3. da ultimo ma non meno importante, dare sostegno alle imprese in difficoltà.

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