Sarà possibile negare la partecipazione ad una procedura d’appalto pubblico nei confronti di un’impresa con un debito tributario superiore a 5.000 euro, anche se non definitivamente accertato. È questo, in breve, il quadro rappresentato dalla versione definitiva del Decreto semplificazioni. Vediamo quindi, quali sono le novità e le evidenti criticità.
Con l’art. 8, comma 5, del Decreto semplificazioni (DL n. 76/2020), convertito in Legge n. 120 dell’11 settembre 2020, è stata confermata un’importante quanto discutibile integrazione al nuovo Codice degli appalti (D.lgs. 50/2016), segnatamente all’art. 80, comma 4, rubricato “motivi di esclusione”.
La nuova disposizione in commento riconosce una prerogativa esclusiva a favore della stazione appaltante: la possibilità di escludere discrezionalmente gli operatori economici dalle procedure di gara, nel caso in cui venga a conoscenza e sia in ogni caso in grado di dimostrare che l’impresa proponente abbia commesso gravi violazioni e non abbia ottemperato agli obblighi fiscali, intesi come pagamento di imposte e tasse, o all’assolvimento dei contributi previdenziali. A destare tuttavia maggior sconforto sono i requisiti, oggi non più particolarmente significativi, richiesti ai fini dell’esclusione.
Anzitutto, non sarà più necessario un provvedimento definitivo per constatare l’inadempimento agli obblighi di pagamento dei tributi e contributivi. Infatti, sino all’intervento del citato Decreto, gli operatori economici potevano essere esclusi dalle procedure di gara pubblica solo in caso di irregolarità fiscali “gravi e definitivamente accertate”, quindi o con un atto impositivo non più impugnabile ovvero con una sentenza di condanna con effetto di giudicato. Con l’aggiunta della nuova disposizione, non è più richiesta la definitività del provvedimento impositivo: né, quindi, un accertamento divenuto inoppugnabile per decorrenza dei termini di proposizione del ricorso giudiziale, né, tantomeno, una sentenza con efficacia di giudicato che attesti la debenza del contribuente. Sarà, piuttosto, sufficiente una contestazione dell’Amministrazione finanziaria, non necessariamente contenuta in un provvedimento impositivo, quindi anche semplicemente constatata il un processo verbale. In sostanza, diventa possibile escludere imprese con debiti ancora provvisori o addirittura pendenti in giudizio.
Il secondo requisito richiesto dalla norma ai fini dell’esclusione dalla procedura è quello della quantificazione del debito per poter valutare una “grave violazione”: ai fini fiscali, dato il rimando esplicito all’art. 48-bis del DPR 602/73, sarà sufficiente che il contribuente si sia reso inadempiente di una somma complessiva superiore ai 5.000 euro; mentre, ai fini contributivi e previdenziali, sarà sufficiente il mancato rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportelli unico previdenziale.
La previsione dell’esclusione non troverà applicazione, e l’impresa inadempiente potrà piuttosto garantirsi la partecipazione alla gara, solo ottemperando agli obblighi impositivi, provvedendo pertanto all’integrale pagamento del debito tributario o dei contributi previdenziali, o impegnandosi in modo vincolante all’assolvimento dei propri doveri, il tutto prima del termine di scadenza fissato per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara.
La disposizione in commento, come detto, presta il fianco a numerose critiche, anche di legittimità costituzionale, stante la potenziale lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e di ragionevolezza giuridica (art. 3 Cost.).
Oltre infatti all’elemento estremamente basso della soglia minima di rilevanza delle violazioni tributarie, di soli 5.000 euro, sarà inoltre verosimile che un imprenditore si veda costretto a rinunciare al proprio diritto di difesa, al solo fine di non vedersi escluso da una gara d’appalto, non solo in sede di giudizio avverso un atto impositivo, ma anche in sede procedimentale avverso un processo verbale di constatazione, almeno nei casi in cui la stazione appaltante possa ritenere adeguatamente dimostrata una violazione da parte della Guardia di Finanza o dalla stessa Agenzia delle Entrate.
Inoltre, nel caso in cui sia stato già incardinato un contenzioso tributario, trattandosi di un debito tributario “non definitivamente accertato”, occorrerà accertare lo stato del processo, individuando specificamente la tipologia di pretesa e l’eventuale pronuncia di una sentenza di merito. Se l’atto è infatti già pendente in primo grado ma non vi sia stata pronuncia giudiziale, salvo i casi di iscrizione a ruolo straordinario, il contribuente dovrà provvedere al pagamento di un terzo della pretesa tributaria e degli interessi contestati (art. 15 del DPR n. 602/73). Se, invece, è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti esecutivi dell’atto (o della sentenza in secondo grado), nulla è dovuto dal contribuente, almeno fino alla sentenza conclusiva del giudizio che assorbe l’ordinanza di sospensione, e di conseguenza non potrà trovare applicazione la causa di esclusione dalle procedure di appalto. Stessa cosa, nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza favorevole al contribuente, anche se non ancora definitiva, stante gli effetti immediatamente esecutivi della pronuncia giudiziale.
Guardando infine la disposizione in questione dalla prospettiva delle stazioni appaltanti, non si può non rilevare quel margine di discrezionalità in capo alle stesse, potendo di fatto portare ad un incremento del contenzioso amministrativo avverso i provvedimenti amministrativi di esclusione dalla gara.
In conclusione, le problematiche derivanti da questa nuova disciplina saranno molteplici, tra l’altro in un periodo come quello attuale, fortemente compromesso dalla situazione emergenziale in corso.