La norma introduttiva del tributo, contenuta nella legge di bilancio 2020, reca una formulazione per molti aspetti poco chiara, necessariamente da integrare con l’attesissimo Decreto attuativo di competenza del Ministero dell’Economia, in pubblicazione entro ottobre 2020. Sul tema, è da ultimo intervenuta anche Assonime che, con la circolare 19.2020 ha inteso partecipare al dibattito sui maggiori profili di interesse collegati al tributo, primi fra tutti quelli attinenti all’individuazione dei soggetti obbligati, dell’oggetto del tributo, dei registri, dei rimborsi e dei rischi sanzionatori.
1. Introduzione
Tra le misure della Legge di Bilancio 2020 (L. n. 160 del 2019) che destano maggiore interesse, vi sono le cd. plastic e sugar tax, due provvedimenti del tutto nuovi per il nostro ordinamento, inquadrati – pur con delle sostanziali differenze – negli schemi classici delle imposte sulla produzione e sul consumo di cui al TU Accise n. 504 del 1995, sebbene dallo stesso separate e mantenendone una regolazione autonoma e indipendente.
Entrambi i tributi, tuttavia, sono stati oggetto, negli ultimi mesi, di forti discussioni e dibattiti, sia sul piano politico, che tecnico, anche se ad oggi nulla appare far presagire una loro soppressione: dunque, in attesa dei provvedimenti attuativi del Ministero dell’Economia (per la sugar tax) e dell’Agenzia Dogane Monopoli (per la plastic tax), il 1 gennaio 2021 il sistema impositivo erariale si doterà di due forti strumenti di pressione, forse addirittura ben maggiore rispetto a quanto preventivato dallo stesso Legislatore.
Concentrando l’analisi sulla sugar tax, meglio definibile come imposta, si badi, non sullo zucchero, ma sulle bevande edulcorate, quelle cioè con zuccheri aggiunti, si rileva che la stessa è stata introdotta con l’art. 82 della Legge di Bilancio 2020, entrando in vigore il 1.1.21 come da disposizione dell’art. 133 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020, convertito con la legge n. 77 del 2020, sempre nell’intenzione di realizzare una misura che mira a recuperare gettito erariale riducendo i consumi di prodotti che si assume dannosi per l’ambiente e per la salute.
La norma introduttiva, però, ha una formulazione oggettivamente non chiara su alcuni temi fondamentali di seguito in commento, ragione per cui non sono pochi gli interrogativi che il sistema tributario si sta ponendo e che sono, in buona parte, individuati dalla stessa Assonime con la recente circolare n. 19/2020; il tutto, come detto, in attesa dell’adozione dei cennati, ulteriori provvedimenti regolamentari ed amministrativi volti a stabilirne le modalità attuative di dettaglio.
Si tratterà in particolare appositi decreti che dovranno essere emanati dalle competenti Autorità, non solo fiscali, almeno 60 giorni prima dell’entrata in vigore della norma, ragione per cui è assolutamente necessario che gli operatori abbiano il tempo tecnico (e per la verità appaiono già insufficienti i predetti 60 giorni) di conoscere le regole di funzionamento di una imposizione che avrà effetti altamente impattanti, sia in termini di maggiori costi di produzione, diretti ed indiretti, sia in termini operativi, specialmente per l’implementazione di sistemi gestionali di informatizzazione dei nuovi processi dichiarativi e di tracciabilità.
2. I temi chiave: individuazione dei soggetti obbligati e dell’oggetto del tributo
Si è già cennato come ancora oggi, per la sugar tax, restano numerosi temi aperti, dall’individuazione dell’oggetto dell’imposizione e dei soggetti obbligati, fino alle corrette modalità di tracciabilità della filiera, anche per l’ottenimento, ove possibile, dei rimborsi per i tributi indebitamente versati.
Preliminarmente, occorre però osservare un tema di principio: la sugar tax è un’imposta di consumo (non di produzione, non una accisa armonizzata), che tassa, alla vendita al dettaglio in Italia, appunto il consumo di bevande con zuccheri aggiunti. Dunque, ad essa non è applicabile la disciplina generale delle accise stabilita dalla direttiva 2008/118/CE, ossia la c.d. Direttiva Accise che fornisce il quadro regolamentare relativo ai prodotti energetici, all’energia elettrica, all’alcole, ai prodotti alcolici e ai tabacchi lavorati; inoltre, non può, di principio, se non per analogia, neppure farsi riferimento alla disciplina nazionale prevista dal testo unico delle disposizioni concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi di cui al decreto legislativo n. 504 del 1995, relativo agli stessi prodotti di cui sopra, ovvero a quelli non discendenti da un quadro unionale, come avviene per le c.d. accise non armonizzate, in primis quelle gravanti sugli oli lubrificanti.
La disciplina della c.d. sugar tax, infatti, è formulata autonomamente dalla stessa legge istitutiva ed è in essa (pur nella sua formulazione di fatto non proprio felice) che devono rintracciarsi le “regole de gioco”, con l’auspicio però che, lavorando in analogia con il solco segnato dall’esperienza del TU delle Accise (sui principi generali e sulle imposte non armonizzate in particolare), la disciplina attuativa riservata all’adottando Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, che verrà pubblicato entro ottobre 2020, comprenda l’enorme impatto che avrà la sugar tax sul sistema delle bevande analcoliche, mantenendo almeno un approccio di massima semplificazione.
In effetti, per legge, il Decreto in parola dovrà regolare “le modalità attuative di tale disposizione, in particolare per quanto riguarda i contenuti dichiarativi, le modalità di versamento dell’imposta, gli adempimenti contabili a carico dei soggetti obbligati e le modalità di trasmissione dei dati contabili, come anche le modalità che dovranno essere rispettate dalle competenti Autorità per procedere alla notifica degli avvisi di pagamento o, più in generale, delle attività di accertamento a cui sono deputate”; è dunque evidente come esso si presenti come una grande occasione per attivare il sistema in maniera sostenibile per tutte le parti in causa.
Come detto, anche Assonime è intervenuta con una ulteriore circolare, la n. 19/2020 che segue la n. 2/2020 sul tema generale della plastic tax, per affrontare il tema assai complesso delle regole applicative della nuova imposta sul consumo di bevande edulcorate, partecipando all’ampio dibattito già in corso.
In effetti, le incognite che accompagnano la norma – come anche quelle relative alla norma gemella che tasserà il consumo di contenitori in plastica monouso – sono molte, a cominciare dai profili soggettivi dell’imposta.
Semplificando, la tassa si applicherà, tra l’altro, ai fabbricanti nazionali di bevande edulcorate condizionate per la vendita al minuto, rendendosi esigibile all’atto della cessione a clienti nazionali. Questa formulazione della norma, per la verità piuttosto infelice e sicuramente parziale, rende difficile individuare il soggetto passivo nelle ipotesi in cui, ad esempio, un committente extraunionale incarichi un toller nazionale della produzione di bevande edulcorate.
In questa ipotesi, il cortocircuito potenziale è il seguente: se obbligato è il fabbricante, questi non procede ad alcuna cessione, fatturando solo un servizio; se obbligato è il committente, questi non è nazionale, come pare richiesto dalla norma. Allo stesso modo, le cessioni di prodotto non avvengono solo in favore di soggetti nazionali, ma anche esteri, rilevando piuttosto la localizzazione del bene, in quanto la tassazione è da applicarsi solo per le cessioni sul territorio interno. Si suppone che la scelta possa cadere sulla seconda ipotesi, più coerente con l’intero impianto normativo, magari ipotizzando formule di rappresentanza ad hoc.
Più che un’imposta di sola produzione, quella in esame si configura dunque come un’imposta puramente di consumo, che cade sui prodotti all’atto della loro (prima) cessione/acquisto o importazione, pur non applicandosi, è ovvio, alcuna rivalsa obbligatoria, ma solo eventuale, quale ricarico di un elemento di costo che però ha effetti fiscalmente rilevanti.
Per questa imposta, infatti, vi è perfetta coincidenza tra il momento in cui l’obbligazione sorge e quello in cui diviene esigibile, circostanza che si verifica in fasi diverse dell’operazione a seconda che il trasferimento avvenga in ambito domestico, in ambito UE, ovvero coinvolga anche Paesi extra UE.
Nel primo caso, quello di trasferimento interno, il presupposto di esigibilità dell’imposta si verifica all’atto della cessione, anche gratuita, da parte del fabbricante o del soggetto che provvede al condizionamento, se diverso, nei confronti del privato o della società commerciale che ne effettui la rivendita, e sarà il cedente ad essere onerato del pagamento. La distinzione tra fabbricante e condizionatore appare molto complessa, come si dirà di seguito, perché sovrappone due figure spesso non reciprocamene note, né ben definibili, ed un monitoraggio dei dati fiscali estremamente difficoltoso. Anche qui, come detto, è di interesse verificare le vendite effettuate, sul territorio, per beni che in detto territorio insistono, da parte di cedenti ivi non stabiliti, che dunque effettuano cessioni locali e devono rivalsare (o meglio, applicare; o meglio ancora, assolvere) l’imposta per poi versarla all’Erario.
Nel secondo caso, quello di acquisti intra UE, il momento rilevante, ai fini impositivi, si verificherà con il ricevimento di bevande da parte del soggetto acquirente, di prodotti provenienti dall’UE, senza tuttavia distinzione normativa tra acquisti effettuati per l’esercizio dell’attività impresa ed acquisti privati, come avviene per la plastic tax. In questa ipotesi è escluso da ogni copertura normativa, per esempio, il tema dell’e-commerce, non essendo chiaro, ad esempio, chi debba assolvere il tributo nell’ipotesi di prodotto venduto e trasferito da un’impresa unionale ad un privato nazionale.
Nel terzo caso, quello rilevante in dogana, l’obbligazione avrà luogo all’atto di importazione definitiva delle medesime bevande nel territorio nazionale, con imposta a carico dell’importatore, configurandosi essa come un diritto doganale e di confine. Al contrario, ovviamente, l’imposta non si applica per le cessioni che non avvengono a livello nazionale, come le esportazioni.
Si pone dunque la questione dell’individuazione del soggetto obbligato, che può essere il fabbricante o il soggetto che procede al condizionamento, che però, a sua volta, potrebbe non disporre facilmente delle informazioni necessarie al pagamento dell’imposta, specialmente nelle ipotesi di lavoranti per conto di terzi ed in una filiera produttiva molto lunga e non sempre nota nella sua interezza (è di comune contezza il fatto che i concentrati necessari per la preparazione di prodotti recano formule di produzione non note neppure ai fabbricanti).
Come cennato, si ritiene ragionevole una soluzione che, tra tutte, appare quella più coerente con l’intero impianto normativo, ossia una soluzione che ipotizzi formule di rappresentanza ad hoc per soggetti non stabiliti che, così, potranno assolvere il tributo in qualità di fabbricanti, ossia di soggetti che, indifferentemente, fabbricano o fanno fabbricare i beni ad imposta, ovvero praticano processi di vendita di e-commerce.
Su questa impostazione si allinea la stessa Assonime che, nella circolare 19.2020, nell’ipotesi ad esempio di un toller lavorante per conto di terzi, osserva che “si dovrebbe ritenere che essendo l’esigibilità collegata alla cessione dei prodotti da parte del fabbricante o del soggetto che provvede al condizionamento, il soggetto passivo vada individuato nel committente non potendosi configurare una cessione nel rapporto fra l’impresa lavorante e il committente che è proprietario dei prodotti. Tuttavia, in altra occasione analoga a quella in esame (in particolare, ai fini dell’applicazione dell’imposta sui sacchetti di plastica), l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto decisivo – nel rapporto di lavorazione che comporti l’esecuzione del completo ciclo di produzione dei manufatti soggetti al tributo – l’aspetto relativo alla fabbricazione vera e propria, e attribuendo al termine “cessione” un significato non rigorosamente tecnico. Aderendo a tale tesi, il soggetto passivo sarebbe individuato nell’impresa che effettua la lavorazione. Non riteniamo, tuttavia, che tale conclusione possa essere accolta per il tributo in esame dato che il presupposto del tributo è costituito dalla cessione a consumatori: il termine cessione, quindi, non può che essere riferito al trasferimento dei beni dal proprietario (e cioè il committente la lavorazione) al consumatore, escludendosi che possa essere chiamato al pagamento dell’imposta l’impresa che esegue la lavorazione”.
Resta poi dubbio anche l’oggetto della specifica imposizione. Posto che sono fissate delle soglie di esenzione da analizzare con attenzione, si attende un Decreto interministeriale per capirne tutti i parametri applicativi. Il contenuto complessivo di edulcorante contenuto nelle bevande, infatti, dovrà essere determinato non già in base al mero rilevamento quantitativo della sostanza, bensì facendo riferimento al potere edulcorante di ciascuna, il quale verrà stabilito con decreto dei Ministeri delle Finanze e della Salute, “in relazione al rapporto tra la concentrazione di una soluzione di saccarosio e quella della soluzione dell’edulcorante, aventi la stessa intensità di sapore”.
Si evince quindi come il “sapore dolce” della bevanda debba essere appurato proprio mediante il confronto tra il potere dolcificante dell’edulcorante utilizzato e quello del saccarosio (dolcificante standard) purché la concentrazione dei due elementi abbia “la stessa intensità di sapore”, concetto che rischia di suscitare qualche perplessità applicativa.
Alle operazioni non imponibili per ragioni territoriali (export e cessioni intra UE), si aggiunge infatti la deroga oggettiva riconducibile alle bevande il cui contenuto di edulcoranti sia inferiore o pari a 25 grammi per litro nel caso dei prodotti finiti, ovvero di 125 grammi per chilogrammo nel caso di prodotti da diluire, ponendo il legislatore una franchigia che potrebbe portare a riconsiderare, in taluni specifici casi, le formule di produzione.
Sul punto, però, è interessante capire se le soglie di edulcorante verranno considerate fiscalmente rilevanti nell’ipotesi in cui un prodotto contenga quantitativi di zuccheri naturali e artificiali la cui somma supera il livello valido per l’applicazione dell’imposta, oppure se, come si ritiene, il quantitativo da considerare è da riferirsi ai soli zuccheri artificiali complessivamente contenuti (dunque senza computare gli zuccheri naturali che non paiono penalizzati dalla ratio dell’imposta).
3. La tracciabilità, i registri ed i rimborsi dell’imposta
Un altro tema di assoluto rilevo attiene alla tracciabilità dell’imposta, anche ai fini del rimborso della stessa nell’ipotesi di prodotti destinati all’esportazione o alla cessione intra unionale; anche Assonime, infatti, individua quale questione di interesse l’ipotesi in cui le merci che hanno scontato il tributo sono poi esportate o cedute nel territorio UE.
In effetti, all’attivazione della norma si genereranno una serie importante di effetti naturali, il primo dei quali recato dall’individuazione del quantum del tributo che, dal fabbricante, verrà rivalsato sui proprio cessionari, così a discendere la catena commerciale fino al consumatore finale.
Il “costo” del tributo, dunque, pur perdendosi ai fini fiscali, verrà (in forma variabile e se si vuole non automatica) quasi sempre traslato a valle della linea delle cessioni di prodotto, restando però fermo in un unico momento rilevante per l’applicazione dell’imposta, ossia la cessione operata appunto dal solo fabbricante.
Quanto precede imporrà a quest’ultimo una tracciabilità puntualissima del prodotto, che sicuramente sarà gestita con appositi registri nei quali si vedranno cristallizzati dati quali la localizzazione delle merci, i riferimenti del carico, quelli di scarico, i pesi, i volumi, i litri, le tipologie di prodotti, gli edulcoranti e le imposte. Si auspica però, da un lato, che il tutto possa considerarsi in forma integrata con i registri aziendali già in uso (es. contabilità industriale) e, dall’altro, che si mantenga sempre un approccio concentrato sul lato attivo, ossia della vendita, trattandosi appunto di una imposta di consumo e non (anche) di produzione.
Ma quanto sopra brevemente illustrato, dispiegherà i suoi effetti anche ai fini dei rimborsi: la norma, sul punto, è in realtà piuttosto stretta perché sostiene possibile il rimborso dell’imposta quando questa è indebitamente versata, ossia quando, fisiologicamente, è pagata in eccesso dal contribuente.
Ma il senso dell’imposta di consumo, ossia di tutte le imposte di consumo (es. accise armonizzate e non, IVA ed anche plastic tax), è quello di non penalizzare un prodotto se esso è, infine, esportato e ceduto ad altri operatori UE.
La norma sulla sugar tax, unica in questo panorama, dispone solo che i soggetti obbligati al pagamento del tributo hanno diritto al rimborso del medesimo nel caso, si è detto, in cui il tributo risulti indebitamente pagato. Eppure, con uno sforzo interpretativo ed applicativo, si potrebbe di considerare l’ipotesi di estensione del rimborso anche ai soggetti esportatori o cedenti intra UE che hanno acquistato il prodotto pagando l’imposta al proprio fornitore italiano (soggetto obbligato). In effetti, potrebbe ad esempio ricondursi il sistema dei rimborsi alle disposizioni di cui all’art. 14 TUA, in particolare al relativo comma 6, per cui i prodotti assoggettati ad imposta possono essere oggetto, a richiesta, di rimborso in caso di esportazione o cessione intra UE.
Si eviterebbe così l’ipotesi in cui un soggetto IT1 fa produrre merci ad un soggetto IT2 contro la corresponsione di una fee di lavorazione, ove, una volta prodotte, le merci sono vendute da IT1 per l’esportazione, che paradossalmente potrebbe non avere diritto al rimborso, se il soggetto obbligato fosse IT2.
Oppure, in questo quadro potrebbero innestarsi i rimborsi per ipotesi, assai frequenti, di distruzioni in magazzino (per i prodotti acquistati dall’esterno per cui l’imposta è già pagata), oppure ancora per i resi in generale o prodotti prossimi alla scadenza donati ad esempio ad enti di beneficenza.
Se lo spazio per l’ottenimento del rimborso da parte, ad esempio, del secondo o terzo cessionario nazionale fosse anche normativamente stretto, un’interpretazione sistematica delle norme analoghe previste dal legislatore in materia di accise, altre imposte di consumo e, addirittura, plastic tax, dovrebbe suggerire l’apertura estesa al sistema dei rimborsi per un’imposizione, si rammenta, che è pesantissima, forse in misura ancor maggiore rispetto a quanto cubato nella relazione illustrativa introduttiva.
In effetti, la sugar tax si applica in ragione del potere edulcorante dei singoli zuccheri contenuti nelle bevande che, di per sé, hanno un costo di produzione e prima vendita molto basso; non applicandosi ad valorem, ma “a peso specifico”, si calcola che il tributo impatti in misura superiore all’IVA, non essendo peraltro mai detraibile.
4. Quantum dell’obbligazione, adempimenti, accertamento e sanzioni
L’importo dell’imposta è fissato nella misura di euro 10,00 per ettolitro sui prodotti finiti, ed euro 0,25 per chilogrammo per i prodotti da consumarsi previa diluizione, ed i soggetti obbligati al pagamento, si vedrà come individuati, devono essere registrati presso l’Agenzia delle Dogane con attribuzione di un apposito codice identificativo.
Anche qui, si registra l’ulteriore onere amministrativo per le imprese di accedere, sostanzialmente, ad un censimento degli operatori del settore, pur senza essere prevista, al momento, alcuna licenza.
I soggetti che operano in ambito domestico ed unionale dovranno versare l’imposta entro il termine di presentazione della dichiarazione mensile (entro il mese successivo a quello cui la stessa si riferisce), con una eccezione riconducibile in dogana, alle ipotesi di importazione, ove il pagamento avverrà, secondo le modalità previste per i diritti di confine, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane, la quale è anche deputata agli atti propedeutici alla riscossione, che potrà avvenire anche in via coattiva, previa notifica dell’avviso di pagamento.
È poi inteso che le imposte le Autorità competenti potranno procedere a riscossione coattiva e sono previste sanzioni amministrative da emanare secondo la procedura standard di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 472.97. In particolare, in caso di mancato pagamento, la sanzione è considerevole, di importo variabile dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore comunque ad euro 500,00, mentre in caso di ritardato pagamento l’importo della sanzione è invece pari al 30% dell’imposta dovuta e non inferiore, comunque, ad euro 250,00.
Per quanto concerne la tardiva presentazione delle dichiarazioni, e per ogni altra violazione delle disposizioni dei presenti articoli e delle relative modalità di applicazione, potrà applicarsi una sanzione da euro 500,00 ad euro 5.000,00, in replica sostanziale della norma sanzionatoria di chiusura del TU Accise, di cui al relativo art. 50.
Nella circolare in commento, in materia di sanzioni Assonime osserva due ulteriori punti di interesse. Anzitutto, viene rilevato che la norma introduttiva della sugar tax “non chiarisce in quali ipotesi l’imposta deve considerarsi omessa, e quando, invece, si è in presenza di un ritardo del pagamento. In assenza di specificazioni, si dovrebbe ritenere che la fattispecie del “ritardo” si verifichi in tutti i casi in cui vi sia un pagamento spontaneo, in assenza cioè di un atto di accertamento o di una richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria. Non è chiaro, inoltre, se sono applicabili le riduzioni della sanzione per il ritardato pagamento previste dall’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che prevede la riduzione alla metà se il ritardo non è superiore a novanta giorni e l’ulteriore riduzione a un importo pari a un quindicesimo per ogni giorno di ritardo, se i versamenti sono effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni”.
Inoltre, viene altresì rilevato come non sia “prevista una sanzione specifica per l’omessa presentazione della dichiarazione, sicché dovrebbe ritenersi che tale violazione rientri fra quelle cui si applica tale sanzione residuale; ciò comporta, in sostanza, l’equiparazione dell’omissione alla violazione relativa alla tardiva presentazione della dichiarazione”.
Ad ogni modo, deve in conclusione osservarsi che, come detto, la disciplina sulla sugar tax entrerà in vigore il 1° gennaio 2021 e che, dunque, la prima dichiarazione da presentare è quella relativa al mese di gennaio, per cui la prima scadenza da rispettare per la presentazione della dichiarazione e per il versamento dell’imposta è il 28 febbraio 2021.
Il termine è prossimo, l’imposta è critica ed altamente impattante, mentre la disciplina normativa resta nebulosa e poco chiaro: non resta dunque che attendere, il prima possibile per ovvie ragioni organizzative, il Decreto ministeriale attuativo del sistema, auspicandone un approccio di estrema semplificazione per gli operatori del settore.