Anche dopo il 31 ottobre 2020 la pratica del rilascio di certificati di origine Eur1, EurMed o ATR previdimati può proseguire, anche se gli stessi dovranno essere stampati dagli operatori sui modelli cartacei standard utilizzando un nuovo applicativo messo a disposizione dalle Dogane. In alternativa, resta sempre primario il raggiungimento, da parte degli operatori, dello status di esportatori autorizzati all’autodichiarazione di origine preferenziale direttamente in fattura.
A partire, dunque, dal 10 novembre 2020 in via sperimentale e, poi, a regime dal 19 gennaio 2021, la stampa dei certificati dovrà avvenire utilizzando un nuovo sistema informatico in uso presso l’interfaccia dogane/operatori AIDA. In buona sostanza, a quanto si apprende dalla circolare n. 42/D/2020 dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli (ADM), gli operatori potranno continuare a richiedere il modello Eur1 previdimato, che però dovrà essere stampato in maniera uniforme da tutti i players del mercato, a tal fine generandosi una maschera sul sistema AIDA conforme peraltro ai dati di origine (e non solo) dichiarati nelle bolle doganali di esportazione.
Con questa soluzione, l’ADM di fatto abbandona i propositi di modifica del regime di rilascio degli Eur1 che, nell’ultimo anno, avevano agitato non poco il mercato. Con i precedenti indirizzi, infatti, gli esportatori che avessero inteso richiedere un certificato di origine preferenziale avrebbero dovuto farne esplicita e motivata istanza, sostenuta da un set documentale e informativo idoneo a mettere l’Ufficio nelle condizioni del rilascio. Questo processo, senz’altro più conforme al rigido disposto unionale e, se si vuole, più in linea con il sistema generale dei procedimenti amministrativi, si scontrava però con una realtà operativa molto rapida e pratica, per cui le merci in partenza e magari già in carico su un mezzo non possono attendere eventuali rallentamenti nei processi di valutazione di un’istanza. Per tale ragione, storicamente, si è ricorso alla pratica degli Eur1 previdimati, grazie alla quale gli spedizionieri potevano (possono e potranno) ritirare i certificati firmati “in bianco”, compilarli con i dati di legge e porli a corredo della spedizione in partenza.
Con il nuovo innesto informatico con cui il certificato è richiesto e generato in automatico, però, la pratica subisce un ulteriore upgrade, anche se, precisa la Dogana, “la procedura in questione interviene sulla mera modalità di richiesta della certificazione e sulla modalità di compilazione da parte dell’operatore economico, restando invariati i modelli ed i formulari attualmente previsti in materia di certificazione dell’origine delle merci e le modalità - ordinaria o “previdimata” - di rilascio del certificato da parte dell’Ufficio delle Dogane”.
La generazione automatica dei certificati, peraltro, elimina il rischio di possibili non corrispondenze tra i dati presenti nella dichiarazione doganale e quelli contenuti nella certificazione dell’origine delle merci, oltre a permettere, si suppone, l’esecuzione di migliori e maggiori controlli. È dubbio, forse, l’effetto che tale processo avrà sui certificati destinati a Paesi sensibili, che accettano certificati solo se compilati secondo certi formalismi: in questo senso, sarebbe preferibile che l’uso dei format sia adattabile alle esigenze del caso, solo per evitare problemi alle imprese nazionali.
Il parziale dietrofront delle Dogane, però, non deve distogliere l’attenzione, questa volta condivisa tra amministrazioni e mercato, dal bersaglio grosso rappresentato dal superamento dell’utilizzo dei certificati. Questo può essere raggiunto modificando, assai lentamente, gli accordi internazionali e, nel breve periodo, dall’ottenimento da parte delle imprese dello status di esportatore autorizzato, l’unico che veramente consente di prescindere da ogni forma di certificazione cartacea, snellendo i flussi di origine nell’ottica dell’efficienza e della piena consapevolezza.