Il cessionario non ha diritto alla detrazione dell’IVA erroneamente corrisposta in riferimento ad un’operazione non imponibile, ma questa spetta solo se l’errore commesso dal fornitore riguarda l’applicazione di un’aliquota maggiore rispetto a quella dovuta.
In tal senso si esprimono le nuove disposizioni emanate con circolare dalla Guardia di Finanza di ieri che, modificando quanto disposto nella precedente Circolare n. 114153/2018, recepiscono alla lettera una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Trattasi della sentenza del 3 novembre, n. 24289, con la quale la Suprema Corte ha espressamente escluso la possibilità del cessionario/committente di procedere alla detrazione in riferimento ad una fattura in cui sia stata erroneamente addebitata l’IVA. Tale divieto – a dire della Corte – vale anche a seguito della novella dell'art. 6, comma 6, del D.Lgs. 471/1997 ad opera della Legge di bilancio 2018 la quale, con efficacia retroattiva, distinguendo tra due tipologie di condotte illecite, ha introdotto due diverse sanzioni:
- (a) una sanzione fissa (compresa fra 250 euro e 10.000 euro) per il cessionario/committente in caso di applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto del medesimo cessionario/committente alla detrazione;
- (b) una sanzione pari al 90% (e non più 100%) dell'ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente negli altri casi in cui l'imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.
Ebbene, declinando l’orientamento della Corte Suprema e, ora, anche quello della Guardia di Finanza, l’ipotesi in cui il cliente abbia pagato al fornitore (e di conseguenza abbia detratto) l’IVA addebitatagli per errore in fattura sarebbe ascrivibile a questa seconda fattispecie normativa (sub lett. b) anziché alla precedente (sub lett. a). Con la pesante conseguenza dovuta al recupero dell’IVA detratta e all’irrogazione di una sanzione di tipo proporzionale piuttosto che fissa.
Attenzione, pertanto, a rettificare in tempo le operazioni non imponibili, esenti o escluse da imposta trattate, per errore, come imponibili ai fini IVA. Queste operazioni, anche in assenza di frode o di danno per l’Erario (laddove il fornitore ha versato l’imposta), verosimilmente saranno soggette al recupero dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha preferito adeguarsi all’orientamento restrittivo della Corte di Cassazione per cui nel concetto di «IVA applicata in misura superiore alla effettiva» possono essere ricondotte solo le ipotesi in cui il cedente/prestatore abbia applicato un’aliquota superiore a quella corretta e non quelle in cui abbia applicato l’imposta a fronte di operazioni esenti, non imponibili o escluse da imposta.
Tale interpretazione non si ritiene condivisibile in quanto, nella sostanza, la situazione in cui è applicata l’imposta con un’aliquota superiore a quella dovuta non può dirsi diversa da quella nella quale l’imposta è applicata sebbene non dovuta per altri motivi (non imponibilità, esenzione, etc.): in entrambi i casi l’IVA è versata in eccesso e il discrimine tra una condotta illecita e l’altra non può essere la “quantità” di imposta erroneamente versata.