Esportazioni
Anche dopo l’accordo commerciale concluso tra UK e UE, Barriere dal 1° gennaio 2021 tra le due parti sono risorte le barriere doganali e, per l’export sono aumentate sensibilmente gli adempimenti e le potenziali criticità connesse alle operazioni internazionali. Infatti, anche dopo l’accordo comunque il regime doganale ed IVA applicabile alle operazioni tra UE e UK è cambiato profondamente e tali scambi si qualificano come operazioni esportazione, fuori dal sistema IVA intraunionale.
Il primo e sicuro adempimento che le imprese devono effettuare, per molte per la prima volta, è la presentazione di una dichiarazione doganale. Le merci unionali che devono lasciare il territorio UE, per divenire extra UE, devono infatti essere vincolate al regime doganale dell’esportazione, da formalizzare su formulario DAU secondo gli standard in uso e come regolamentati dalla disciplina unionale. Dunque, arriva per ogni spedizione, per ogni invio, per ogni box commercializzato con destinazione UK, una singola e puntuale dichiarazione doganale, per la presentazione della quale occorre peraltro la nomina di un rappresentante ad hoc, se l’impresa non è attrezzata autonomamente.
Questo elemento di costo, oggettivo, è altresì un elemento di rischio, perché gli invii nel Regno Unito non sono più scortati solo da una fattura ed un documento di trasporto, cumulativamente dichiarati (neppure in ogni caso) nelle dichiarazioni periodiche Intrastat. I beni in uscita, invece, saranno dichiarati per qualità, per quantità, per origine e per valore, secondo le regole proprie del diritto doganale dell’UE. E queste dichiarazioni sono oggetto, ogni volta, di controllo da parte della dogana di esportazione e/o della dogana di uscita. Ovviamente, il controllo in questione è automatizzato e solo in quota minoritaria sfocia in una verifica merci o in un controllo documentale, ma è evidente che questa quota sia decisamente superiore a quella del 2020 riservata alle cessioni intraunionali senza barriere, con l’effetto di generare potenziali rettifiche delle bolle export e l’applicazione delle connesse gravi sanzioni amministrative previste, di base, dall’art. 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997.
Ma non sono solo questi i profili di stretto interesse per il piano doganale. Al tema dichiarativo si aggiunge infatti anche quello extra-tributario, che comporta responsabilità e sanzioni per le imprese, aventi per lo più carattere penale. È il caso, ad esempio, delle dichiarazioni di libera esportazione sottoscritte dalle imprese nazionali, ovvero delle necessità di autorizzazione o licenza export connesse a determinate tipologie di merci. Oppure è l’ipotesi dei vincoli sanitari, fitosanitari, dei materiali inquinanti, dei beni Cites o, ancora e forse soprattutto, dei beni dual use, elementi questi delicatissimi per le imprese impegnate con l’estero.
Cambia poi, ovviamente, il regime IVA, mutando il quadro dell’imposta che, restando nell’alveo della non imponibilità, si sposta dalle vendite intra UE ex art. 41 del D.L. n. 331/93 alle cessioni all’esportazione ex art. 8 del D.P.R. n. 633/72, che come noto richiede l’intervento dell’ufficio doganale per avere la prova dell’uscita della merce dal territorio dell’UE. Ma non è solo questo il profilo di modifica per l’IVA in cessione: cambia infatti l’adempimento, la dichiarazione, la contabilizzazione, e cambiano soprattutto le regole del gioco, perché la disciplina della Direttiva IVA unionale è ora completamente superata.
Il deal concluso a fine dicembre con un free trade agreement ha concesso agli operatori il beneficio commerciale ed economico del dazio zero, al quale si si contrappone l’obbligo per il fornitore di monitorare i flussi di origine preferenziale. È noto infatti che non tutte le merci esportate verso UK non pagheranno dazi, ma solo quelle di origine preferenziale unionale. E questa origine, come ribadito dall’agenzia delle dogane e monopoli con la circolare 49/D del 30 dicembre 2020, deve essere correttamente tracciata e certificata dagli esportatori UE, pena sanzioni di rilievo penale e deve essere conosciuta dagli importatori.
L’utilizzo degli incoterms
Decisiva la scelta degli Incoterms e la protezione contrattuale per gli operatori che effettuano scambi con UK, soprattutto per regolare oneri e responsabilità al termine della prima fase transitoria o, comunque, per il momento di start up del sistema. In questo scenario, prima e più di tutto, deve essere riconsiderato un approccio all’analisi dei termini di resa che ora troveranno il loro pieno compimento visto che dovranno essere poste in essere operazioni doganali con UK e, dunque, anche questo adempimento dovrà essere allocato tra compratore e venditore.
Il flusso di uscita, stante quanto si apprende dalle prime chart rilasciate dal Governo UK, è tanto ordinario quanto, al contempo, innovativo per larga parte del mercato nazionale che per la prima volta affronta uscite merci, di base via terra, con il doppio movimento di esportazione. Se non si attiva un transito internazionale, con relativo impegno di garanzia, il flusso di base è il seguente. La merce caricata in Italia viene vincolata per l’export con una dichiarazione che scorterà la merce fino alla dogana di uscita, che potrà essere l’Eurotunnel del Canale della Manica o il porto di carico sui ferry che trasbordano i mezzi. Raggiunto il “point of no return” il documento di accompagnamento di esportazione diventerà un DAU di esportazione vero e proprio e l’operazione (MRN) sarà appurata.
Viceversa, in UK avranno inizio le pratiche di importazione, che di base cureranno i clienti ma, in caso di diversi accordi commerciali, di trasferimenti o in caso di ipotesi con introduzione obbligata da parte del seller, come spesso avviene per l’e-commerce, potranno essere eseguite dai venditori unionali, a tal fine identificati nel Regno Unito.
In quest’ottica, ovviamente, la scelta della resa della merce, di base riferendosi agli Incoterms 2020, è essenziale. Il caso classico, ed in futuro più comune, è il ricorso all’EXW, la clausola più diffusa e, fiscalmente, la più insidiosa per gli esportatori; con questo termine, restano fiscalmente in capo al venditore le problematiche relative al visto uscire, alla modalità di compilazione delle dichiarazioni e dei documenti accessori, all’identificazione dell’esportatore non stabilito nel territorio e del titolare di eventuali autorizzazioni o licenze. Se il cliente è UK, infatti, non potrà comunque presentare il DAU di export, che verosimilmente resterà di fatto in capo al soggetto venditore Ue, con ogni rischio conseguente. Non a caso, la stessa ICC ha precisato che tale sarebbe preferibile limitare l’utilizzo di tale clausola nell’ambito del commercio domestico, dove in sostanza i temi civilistici possono rimanere invariati, ma si evitano le questioni doganali, meglio affrontabili almeno con il termine FCA. Sul lato opposto, invece, opera il termine DDP, che dovrà essere utilizzato almeno per trasferimenti e per grosse quote di e-commerce, allocandosi le formalità doganali tutte in capo al venditore, che ben dovrà conoscere le regole di sdoganamento UK e i flussi di identificazione locali ai fini doganali (IoR) e iva (rappresentanza).
Dell’innalzamento di barriere doganali dovrà tenersi conto comunque in sede contrattuale, per la gestione e la previsione di rischi di contrasto tra le parti. Se le regole cambiano ed i valori restano invariati, si realizza naturalmente uno sbilanciamento nel rapporto commerciale; è il caso sia dei costi fiscali, come i dazi o l’iva all’importazione, ma è anche il caso degli oneri amministrativi indiretti, come quelli derivanti dall’esecuzione di pratiche da parte di broker e provider locali o più in generale autorizzative e gestionali derivanti dall’utilizzo di nuovi regimi doganali o fiscali.
Importazioni
Per le operazioni in entrata in UK dal 1° gennaio 2021 risorgono le frontiere con obbligo per gli operatori Ue di predisporre una dichiarazione di importazione con pagamento, per le merci non originarie, dei relativi diritti di confine. Il governo inglese, comunque, per far fronte anche ai disagi collegati alla Pandemia ha introdotto delle regole speciali per differire fino a 6 mesi gli adempimenti doganali e gli eventuali addebiti daziari e per l’Iva ammette la possibilità di liquidarla direttamente nella dichiarazione periodica. Ovviamente queste opportunità, come vedremo in dettaglio, sono rivolte in primo luogo agli operatori economici con sede in UK e per i non residenti le agevolazioni impongono specifiche regole di identificazione.