Con l’accordo di libero scambio sottoscritto da UE e UK, le merci di origine preferenziale, come tali correttamente auto-dichiarate dagli esportatori, beneficiano degli effetti dell’area di libero scambio con dazi di import zero.
La certificazione dell’origine preferenziale delle merci, però, necessità di un duplice piano di approfondimento, uno sostanziale ed uno formale.
Quanto al primo tema, quello sostanziale, gli operatori devono essere in grado di stabilire se i propri beni sono interamente ottenuti nell’UE o, almeno, sono ivi sufficientemente lavorati in coerenza con le regole dell’Accordo. Sul punto, è interessante notare come si registrano dei disallineamenti normativi ed applicativi tra le regole UE e quelle UK perché, se da un lato l’Accordo tra le parti prevede solo la possibilità di cumulo bilaterale, in molti altri simili Accordi che UK sta concludendo con decine di altri Paesi sono considerati originari, in quegli ambiti, anche i beni unionali, con grande beneficio per l’industria locale e, forse, a scapito di quella UE.
Ma è sul piano formale che, ora, si registrano le maggiori novità e le necessità di ulteriore chiarimento da parte di Dogane. Per certificare l’origine preferenziale delle merci spedite dall’UE a UK, occorre infatti essere iscritti al sistema REX, procedura che deve rapidamente essere posta in essere da tutti gli operatori nazionali.
Già di recente, con una FAQ pubblicata sul proprio sito, l’Agenzia Dogane e Monopoli aveva infatti chiarito la portata della circ. 49/D/2020, precisando che gli esportatori già registrati al sistema unionale REX devono utilizzare il relativo identificativo per esportare in UK merci preferenziali UE. Di contro, la stessa circolare prevedeva che, “in attesa dell’attivazione del nuovo Portale unionale REX e dell’acquisizione di eventuali ulteriori elementi rinvenienti dall’Accordo in fase di ratifica, coloro che risultino ancora privi del codice REX, potranno rendere la dichiarazione di origine indicando il proprio codice EORI”. Era dunque dubbio se i soggetti già REX dovessero come tali dichiararsi per gli scambi con UK e, soprattutto, se i soggetti non REX dovessero già attrezzarsi in tal senso o se, nelle more dell’attivazione del Portale, potessero continuare ad operare solo con l’EORI.
Ad ogni modo, con la pubblicazione della circolare 4/D/2020, l’Agenzia ha attrezzato un sistema di richiesta di registrazione al REX di tipo informatico ed estremamente funzionale. Dunque, il portale è ora pronto ed operativo dal 25 gennaio 2021 e, pertanto, le esportazioni verso UK dovranno essere effettuate da operatori registrati se vorranno beneficiare di un sistema di dazi azzerati.
Si pone il tema, però, delle operazioni a ridosso di tale data e, si presume, di quelle successive, perché è certo che non tutte le imprese italiane saranno iscritte al REX in poche ore o in pochi giorni; anzi, è probabile ci volgiano mesi per addivenire a tale risultato.
A quanto pare, al momento UK riconosce le dichiarazioni di origine anche se sottoscritte da operatori non REX (dunque identificati con il solo codice EORI), ma questo non è un dato sul quale fare un affidamento di medio lungo periodo.
Il warning, dunque, ora è duplice, sia per i soggetti REX, sia per quelli non ancora iscritti. Per i primi, è necessario procedere alla manutenzione dell’autorizzazione, aggiornandola anche con i codici di nomenclatura combinata relativi alle merci di interesse nel contesto dell’accordo UE/Regno Unito. Per gli altri, soprattutto, scatta la “corsa” REX, dovendosi al più presto attrezzare per la registrazione così da essere subito perfettamente allineati e compliant al quadro normativo.
In alternativa, l’origine può essere anche dichiarata mediante una autodichiarazione di conoscenza da parte dell’importatore (c.d procedura di importer’s knowledge). È una pratica per certi versi rischiosa, ma sicuramente in molti casi risolutiva, come per esempio avviene per gli scambi infragruppo. Mancano però, sul punto, prassi amministrative chiare e precise che individuino i profili di controllo nel caso in cui l’autodichiarazione in parola sia sottoposta ad audit doganale.