Il mancato pagamento di una prestazione di servizio svolta e non fatturata può determinare l’effettuazione Iva dell’operazione e la relativa esigibilità dell’imposta a condizione che l’Amministrazione finanziaria dimostri
- o che il pagamento è avvenuto anche per equivalenza,
- ovvero che il contribuente intende sottrarsi all’assolvimento dell’imposta.
Con questo principio di diritto la Cassazione (sentenza 9064/2021) analizzando puntualmente la direttiva Iva e la normativa Iva interna distingue, dando rilevanza alla sostanza rispetto alla forma, il fatto generatore dall’esigibilità dell’imposta e consente al fisco, in specifiche circostanze, di recuperare a tassazione le prestazioni svolte, non pagate e non fatturate.
La situazione analizzata dalla Corte riguardava delle prestazioni di servizio che erano state regolarmente svolte, ma che non erano state né fatturate, né pagate e per le quali il contribuente sosteneva che non era sorto, in base all’art. 6, comma 3 del Dpr 633/72, né il presupposto impositivo né l’esigibilità dell’imposta. Sul punto la Cassazione, pur condividendo nel caso di specie la censura manifestata dal contribuente, ha comunque voluto precisare la portata effettiva della citata disposizione.
In primo luogo, la Corte richiamando le sezioni Unite (sentenza 8059/2016) ha evidenziato che il fatto generatore dell’Iva solitamente coincide con l’esigibilità dell’imposta (vale a dire l’effettivo diritto per lo Stato di riscuoterla dal contribuente), ma ne rimane oggettivamente distinto. In effetti, ricondurre al pagamento il fatto generatore dell’imposta determinerebbe un’applicazione disomogenea dell’imposta collegandola a scelte casuali e soggettive.
Da questo punto di vista, come chiarisce la Corte di Giustizia (C-144/94) la disciplina nazionale dell’art. 6 comma 3 del Dpr 633/72 non è in contrasto con la normativa unionale, che pur identificando sempre e comunque il fatto generatore dell’imposta con l’esecuzione della prestazione, ammette che gli Stati membri possano collegare l’esigibilità dell’imposta al pagamento. In altre parole, se la citata disposizione fosse intesa nel senso che il non pagamento non si limita ad escludere l’esigibilità dell’imposta, ma non fa proprio sorgere l’imposta la stessa sarebbe incompatibile con le regole unionali. L’esecuzione della prestazione comporta, dunque, l’insorgenza dell’imposta e il pagamento costituisce il limite temporale per l’adempimento (fatturazione).
In conclusione, il non pagamento non determina di per sé che l’operazione non vada assoggettata ad imposta, ma bisogna individuare, caso per caso, se l’omessa fatturazione deriva o da un pagamento equivalente ovvero da una volontà di sottrarsi all’adempimento. È chiaro che la Corte consente il recupero solo in caso di comportamento “in frode” e non come meccanismo automatico.