IVA erroneamente addebitata in fattura: un'occasione da non perdere

IVA erroneamente addebitata in fattura: un'occasione da non perdere

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Di Santacroce Benedetto

La procedura semplificata di gestione dei casi di errata fatturazione con Iva superiore a quella dovuta con applicazione di una sanzione equilibrata prevista dall’art. 6 comma 6 del Dlgs 471/97 rischia di essere totalmente svuotata di significato se si vuole seguire le interpretazioni, a dire il vero non proprio in linea con i principi unionali della neutralità e della proporzionalità, proposte da ultimo dalla Corte di Cassazione. La norma come si ricorda ammette la detrazione dell’imposta da parte del committente anche se l’imposta è errata con applicazione di una sanzione fissa.

In effetti, la Cassazione, con la sentenza 24283 del 3 novembre 2020 limita l’ambito applicativo della nuova norma alle sole operazioni con aliquota IVA applicata in misura superiore a quella dovuta. Risultano del tutto escluse le situazioni in cui il cedente/prestatore abbia fatturato con Iva un’operazione esente (situazione più ricorrente negli errori commessi dagli operatori economici, in quanto determinato, il più delle volte, dalla difficoltà oggettiva di qualificare una determinata operazione). 

L’esclusione delle operazioni esenti (così come quelle non imponibili) è eccessivamente penalizzante nei confronti del cessionario/committente che in buona fede ha ricevuto una fattura formalmente corretta con applicazione dell’IVA ordinaria (secondo le valutazioni sostanziali effettuate dal fornitore).

La Cassazione non pare aver compreso lo spirito della norma e i principi unionali a cui si è inspirata. A dire il vero anche la Guardia di Finanza nel 2018, con la sua circolare di orientamento dei reparti operativi, aveva inizialmente incluso le operazioni esenti e non imponibili nell’ambito operativo della stessa. Tale posizione si ricorda è mutata proprio a seguito dell’emanazione della predetta sentenza. 

La norma è stata poi ulteriormente indebolita da un successivo intervento della Cassazione che, in merito alla detrazione, ha affermato che l’IVA è detraibile unicamente nella misura effettivamente dovuta e non nell’ammontare totale indicato (in eccesso) in fattura (sentenza Cass. civ. Sez. V, Sent., n. 10439, pubblicata il 21 aprile 2021).

È chiaro, però, che se fosse stata questa l’interpretazione voluta dal legislatore non sarebbe stato necessario inserire “fermo restando il diritto alla detrazione…”: che l’IVA fosse detraibile ove dovuta è un principio generale, senza necessità di doverlo espressamente includere in una norma sanzionatoria.

In ossequio al principio di neutralità dell’imposta, la detrazione integrale dell’imposta, nella previsione specifica in esame, può essere consentita ove il cessionario/committente non abbia limitazione alla detrazione ai sensi dell’art. 19, d.P.R. n. 633 del 1972: questa è l’unica lettura che va data alla nuova norma in relazione alla detrazione.

La norma è una disposizione di sistema che mira a preservare il diritto alla detrazione in capo al cessionario/committente con la finalità di garantire in modo semplificato ed efficiente il recupero immediato dell’imposta (ove la stessa sia stata assolta dal cedente/prestatore, in modo tale da non arrecare alcun danno all’erario), evitando di intraprendere complesse ed onerose procedure di recupero.

Sarebbe, quindi, quantomai opportuno un intervento che riporti ad operare la norma secondo la finalità di sistema per cui era stata introdotta in ossequio ai principi unionali di neutralità, effettività e proporzionalità, di cui la Corte di Cassazione non sembra avere tenuto in debita considerazione.

Da parte sua la Corte di Giustizia, anche se mai in modo del tutto univoco sul punto, ha recentemente sancito, confermando implicitamente la detraibilità dell’imposta, l’illegittimità delle sanzioni proporzionali ove, in assenza di frode, l’IVA sia stata addebitata su un’operazione che doveva essere qualificata invece come esente (cfr. sentenza causa C-935/19 del 15 aprile 2021)

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