Fatturazione in deposito doganale

Fatturazione in deposito doganale

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Di Santacroce Benedetto, Sbandi Ettore

Le operazioni effettuate all’interno dei depositi doganali sono sempre oggetto di fatturazione, indipendentemente dalla qualifica del soggetto cedente, stabilito o meno nel territorio dello Stato. Queste sono le conclusioni del principio di diritto n. 2 del 2023, con il quale l’Agenzia delle Entrate ha inteso precisare gli oneri di fatturazione afferenti ad operazioni su beni che sono fisicamente in Italia, ma si considerano effettuate fuori dallo Stato.

Il provvedimento in commento ricostruisce, anche se in estrema sintesi, la dinamica sulla territorialità delle operazioni in deposito e gli oneri di fatturazione ad esse connessi. Si tratta, insomma, di una rassegna dei passi rilevanti degli artt. 7bis e 21, comma 6 del DPR Iva.

La fatturazione delle operazioni di cessione di beni in deposito, tuttavia, necessita di alcuni chiarimenti, soprattutto con riferimento alle operazioni effettuate da soggetti non nazionali. Quanto precede, anche in considerazione degli oneri di tracciabilità e di conservazione documentale che investono non solo i depositanti, ma anche i depositari, in genere player del mercato della logistica.

Le cessioni di beni mobili, è noto, si considerano effettuate nel territorio dello Stato al verificarsi di due condizioni, ovvero: che i beni abbiano la qualifica di beni nazionali, comunitari o in temporanea importazione e che siano esistenti nel territorio dello Stato. Questi principi di tassazione fisica e giuridica difettano nel deposito doganale per cui – come avviene per i beni in transito esterno o in zona franca – l’operazione diventa non rilevante sul piano territoriale e, dunque, più propriamente, si considerano effettuate fuori dal territorio dello Stato e pertanto non soggette ad imposta.

Eppure, per queste operazioni, l’articolo 21, comma 6, del Dpr Iva, prevede ai fini del controllo dell'operazione l'obbligo di emissione della fattura. In queste ipotesi, le fatture sono annotate con la dicitura “operazione non soggetta”, dovuta anche per le “cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, non soggette all'imposta a norma dell'articolo 7bis, co. 1”.

In questo quadro, che contempla anche un richiamo agli obblighi di fatturazione che sussistono in capo ai soggetti nazionali per cessioni di beni fuori dal territorio, conclude l’Agenzia Entrate che sussiste l’obbligo prescritto dall’art. 21, co. 6, DPR IVA “di fatturare le cessioni operate all'interno dei depositi doganali situati in Italia, indipendentemente dalla qualifica del soggetto cedente (stabilito o meno nel territorio dello Stato)”. Si deve assumere, tuttavia, che tale obbligo investa criteri di tracciabilità che, per i soggetti non stabiliti, si riduca ad una documentazione commerciale secondo le regole proprie, in quanto risulta difficile, nella sistematica dell’Iva, prevedere un obbligo formale ad un soggetto non stabilito e non identificato, ai fini della specifica imposta in Italia.

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