Import, alla dichiarazione di origine basta la sanzione del 50%

Import, alla dichiarazione di origine basta la sanzione del 50%

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Di Santacroce Benedetto, Sbandi Ettore

La corte di giustizia Ue su un caso ungherese ammette la legittimità della penalità amministrativa riducibile in caso di buonafede e aumentabile in ipotesi fraudolente. In materia di corretta dichiarazione di origini all'importazione, dove gli operatori fanno affidamento su informazioni e documenti di Paesi terzi, è comunque legittima l'applicazione di sanzioni, che sono effettive, dissuasive e proporzionate se, come nel caso, ammontano al 50% dei tributi evasi.

Con la pronuncia C-653/22, attualissima per l'Italia e la sua prossima riforma fiscale doganale, la Corte di giustizia dell'Ue ha affrontato l'annoso tema delle sanzioni doganali, che non essendo armonizzate creano puntualmente differenze applicative tra i vari Stati membri, spesso di dubbia legittimità o, almeno, opportunità.

LA VICENDA ESAMINATA

Il caso sottoposto ai giudici di Lussemburgo dalle autorità ungheresi attiene ad ipotesi sanzionatorie locali, dove gli errori in materia di origine dichiarata in import si risolvono in una sanzione che, di base, è pari al 50% dei diritti evasi, importo riducibile in caso di buonafede e aumentabile in ipotesi fraudolente. 

Tuttavia, spesse volte, in importazione, le irregolarità di origini non solo derivano da comportamenti in buona fede, ma anche incolpevoli; è il caso di importatori che dichiarano una determinata origine facendo affidamento su infomazioni e certificati, spesso di fonte pubblica, che a priori non possono ragionevolmente controllare sul piano sostanziale. Questo ha interrogato le autorità dell'Ungheria a chiedere se una sanzione come quella comminata fosse allora coerente con i tradizionali principi Ue recepiti dall'articolo 42 del Codice doganale Ue (Cdu), per cui le sanzioni in materia devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. 

Interessante notare, per parallelismo, che dopo oltre 10 anni, l'interrogativo che si sono poste le autorità ungheresi non ha trovato lo stesso trattamento in Italia, dove le sanzioni per identiche fattispecie (articolo 303 del Tuld) non sono del 50% ma possono arrivare anche al 500 per cento. Nel nostro Paese, purtroppo, è difficilissimo - almeno in materia doganale - avere un rinvio alla Cgue, anche quando, come in questi casi, esso appare per lo meno opportuno. 

LA NORMA NAZIONALE

Ad ogni modo, pur non entrando nel merito di ipotesi di applicazione di cause esimenti da affidamento legittimo, in termini generali la decisione della Corte è chiara: l'articolo 42 Cdu "non osta a una norma nazionale che prevede un'ammenda amministrativa corrispondente, in linea di principio, al 50% della perdita di entrate, applicata nonostante la buona fede dell'operatore interessato e le precauzioni da quest'ultimo adottate, allorché tale aliquota del 50% è nettamente inferiore a quella prevista in caso di malafede di tale operatore ed è, inoltre, notevolmente ridotta in alcune situazioni precisate in tale normativa, tra cui quella in cui l'operatore è in buona fede". 

L'AFFIDAMENTO

La decisione, si ritiene, non osta all'applicazione dei superiori principi sull'affidamento, come declinati dallo statuto del contribuente e ricorrendone i presupposti, al contempo presentandosi come linea guida per la prossima attuazione della delega fiscale. In quella sede, si auspica davvero un ripensamento radicale del sistema sanzionatorio doganale nazionale. 

Studio Santacroce & Partners

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