L'articolo 30, comma 4, della legge 724/1994, dispone che "per le società e gli enti non operativi, l'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell'articolo 17 del Dlgs 241 del 1997, o di cessione ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter del Dl 70 del 14 marzo 1988, convertito con modificazioni dalla legge 154 del 13 maggio 1988. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l'ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto non inferiore all'importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l'eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi".
Ebbene, secondo quanto disposto dal primo periodo del comma 4 sopra riportato, il mancato superamento del cosiddetto "test di operatività" comporta, ai fini Iva, l'indisponibilità dell'eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione annuale. Secondo il dettato normativo, infatti, detto credito non può né essere richiesto a rimborso, né essere utilizzato in compensazione orizzontale, ai sensi dell'articolo 17 del Dlgs 241/1997, né ceduto ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter del Dl 70/1988.
Sul punto, l'agenzia delle Entrate, con la circolare 25/E/2007 ha avuto modo di precisare che la suddetta previsione riguarda esclusivamente l'impossibilità di chiedere a rimborso l'eccedenza Iva risultante dalla dichiarazione annuale; pertanto, il contribuente potrà ottenere, fermo restando il possesso dei requisiti dell'articolo 38-bis del decreto Iva, il rimborso dell'eccedenza previsto dal medesimo articolo per periodi inferiori all'anno, fermo restando l'obbligo di restituzione di quanto ottenuto nel caso in cui il contribuente, a fine esercizio, risulti non operativo (restituzione dell'importo maggiorato degli interessi, ma senza applicazione di sanzioni).
Il secondo periodo del medesimo comma 4 dispone altresì che l'eccedenza di credito Iva maturata non può essere ulteriormente portata a scomputo dell'Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi (c.d. compensazione verticale), con conseguente perdita definitiva del credito, qualora il contribuente sia risultato non operativo per tre periodi di imposta consecutivi e al contempo non abbia effettuato, in nessuno dei menzionati tre periodi di imposta consecutivi, operazioni rilevanti ai fini Iva per un importo almeno pari a quello risultante dall'applicazione delle percentuali di cui al comma 1 dell'articolo 30 (riferite alle immobilizzazioni materiali, immateriali, ai crediti, alle rimanenze).
In particolare, come chiarito dalla citata circolare 25/E/2007, ai fini del raffronto, deve assumersi come totale delle operazioni effettuate ai fini Iva l'ammontare complessivo del volume d'affari relativo all'anno x determinato ai sensi dell'articolo 20 del decreto Iva, che dovrà essere confrontato con il valore presunto dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari.
Nel caso in cui, per tre periodi d'imposta consecutivi, il volume d'affari risultasse inferiore al predetto ammontare forfetariamente determinato, le società e gli enti non operativi perderebbero definitivamente la possibilità di utilizzare il relativo credito Iva, anche a scomputo dell'Iva a debito riferita ai periodi d'imposta successivi. Detta preclusione interessa coloro che non hanno superato, in nessuno dei menzionati tre periodi d'imposta consecutivi, il test di operatività.
Tuttavia, il successivo comma 4-bis del medesimo articolo 30 in commento prevede che, qualora le società di comodo intendano comunque richiedere il rimborso del credito Iva, possono attestare la presenza di "oggettive situazioni" che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito, presentando una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, mediante compilazione dell'apposito campo del quadro VX della dichiarazione Iva annuale.
La presenza della dichiarazione sostitutiva e l'assenza di ulteriori cause ostative consentono l'erogazione del rimborso in procedura semplificata o ordinaria.
In alternativa alla dichiarazione sostitutiva, le società hanno facoltà di presentare, prima della richiesta di rimborso, un'istanza di interpello ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative e/o della disciplina delle società in perdita sistematica.
In particolare, secondo quanto chiarito dall'agenzia delle Entrate con la circolare 33/E/2016, qualora siano presentate preventivamente le istanze di interpello, sia dalle società non operative sia da quelle in perdita sistematica, il rimborso viene erogato o negato a seguito dell'esito degli interpelli.
I chiarimenti sono stati forniti alla luce delle modifiche introdotte dai decreti attuativi della riforma fiscale (ovvero dal Dlgs 156 e dal Dlgs 158 del 2015), alla disciplina dei rimborsi Iva.
LA SOGGETTIVITÀ PASSIVA AI FINI IVA PER LE SOCIETÀ DI COMODO
Il tema della soggettività passiva Iva per le società di comodo è stato oggetto dell'ordinanza interlocutoria 16091/2022 con cui la Corte di Cassazione ha sollevato dubbi sulla possibile violazione del principio di neutralità dell'imposta e conseguentemente del diritto unionale.
La Suprema corte, infatti, si è interrogata sulla legittimità del diniego nell'ipotesi in cui non siano eseguite operazioni attive rilevanti in misura non coerente al test di operatività, privando l'ente della qualità di soggetto passivo, per il presunto mancato esercizio di un'attività economica, ricordando che il diritto alla detrazione è ammesso anche in mancanza di operazioni attive, a condizione che i costi siano imputabili all'attività di impresa.
In particolare, l'analisi trae origine dall'indetraibilità dell'Iva in capo a una società ritenuta di comodo in conseguenza dell'applicazione del test di operatività.
Dopo aver ripercorso la normativa unionale in materia Iva, secondo la quale il soggetto passivo ha sempre il diritto alla detrazione dell'imposta, la Corte di cassazione ha posto l'attenzione sull'esatta individuazione del soggetto passivo di cui all'articolo 9, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/Ce e sul fatto che questa soggettività passiva possa essere disconosciuta per il solo fatto che sono stati conseguiti risultati economici inferiori a quanto la legge predetermina.
Dal mancato superamento del test di operatività consegue che la società ritenuta di comodo, in quanto non soggetto passivo, non avrebbe il diritto alla detrazione.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che il mancato superamento del test di operatività non assumerebbe rilevanza quale prova incontrovertibile del difetto della qualità di soggetto passivo dell'ente, ma solo quale presunzione legale dell'assenza di esercizio di un'attività economica.
Il contribuente dovrebbe poter dimostrare l'esistenza di situazioni oggettive che non gli hanno consentito di realizzare operazioni imponibili per un volume coerente con gli asset patrimoniali.
Il diritto alla detrazione è infatti ammeso anche in mancanza di operazioni attive, a condizione che i costi siano imputabili all'attività d'impresa.
Il principio di neutralità dell'Iva è costantemente ribadito sia nella Direttiva unionale, che dalla Corte di Giustizia Ue. Si cita per esempio la sentenza del 12 novembre 2020 relativa alla causa C-734/19, in cui la domanda posta alla Corte di Giustizia era relativa al fatto se il principio di neutralità fiscale osti a che il diritto di detrazione Iva venga meno nel caso in cui il progetto per il quale le spese erano state sostenute non si realizzi.
La Corte risponde che non spetta all'Amministrazione fiscale valutare la fondatezza dei motivi che hanno condotto un soggetto a rinunciare all'attività economica inizialmente prevista poiché il sistema comune dell'Iva garantisce la neutralità della posizione fiscale per tute le attività economiche indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle stesse, purché queste siano in linea di principio soggette all'Iva.
Date queste interpretazioni, quindi, la Cassazione ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell'Unione europea la questione.
I CHIARIMENTI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Di recente, l'agenzia delle Entrate è tornata sul tema della validità della disposizione sulle società di comodo, anche ai fini Iva e sostanzialmente ne ha ribadito l'operatività, rispondendo a una ipotesi di applicazione delle cause di esclusione previste dalla norma.
Infatti, con la risposta 10 del 18 gennaio 2024, l'agenzia delle Entrate condivide la soluzione del contribuente che richiede di poter ripristinare il credito Iva maturato durante un periodo in cui era considerato non operativo.
In particolare, nel caso prospettato dall'istante, la società, risultata non operativa per una annualità, ha dovuto restituire, con pagamento rateale della cartella di pagamento ricevuta, il credito erroneamente ottenuto a rimborso.
Considerando però che nel triennio di riferimento operano le cause di esclusione della normativa sulle società di comodo, l'istante ha richiesto di poter rigenerare il credito Iva che sta restituendo all'erario con il pagamento rateale della cartella.
L'Agenzia conferma tale possibilità e, in via pragmatica, ricorda che nel rigo VL40 della dichiarazione Iva annuale è possibile indicare l'ammontare corrispondente al credito riversato, al netto delle somme versate a titolo di sanzione e interessi, qualora nel periodo di imposta siano state versate somme richieste con appositi atti di recupero. In questo modo la validità del credito oggetto di riversamento viene rigenerata ed equiparata a quella del credito formatosi nel periodo di imposta oggetto di dichiarazione.