Ammesso il rimborso Iva su beni di terzi se c’è strumentalità con la propria attività d’impresa

Ammesso il rimborso Iva su beni di terzi se c’è strumentalità con la propria attività d’impresa

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Di Santacroce Benedetto, Abagnale Anna

Il diritto al rimborso del credito Iva, allo stesso modo del diritto alla detrazione, è previsto a garanzia della neutralità dell’imposta, la quale non può gravare sui soggetti passivi che intervengono nelle varie fasi della catena di produzione e commercializzazione di beni e servizi.

Pertanto, le modalità di esecuzione dei rimborsi – rimesse alla discrezionalità degli Stati membri – devono consentire al contribuente di recuperare, laddove spettante, la totalità dell’eccedenza del credito Iva risultante dalle liquidazioni periodiche o annuali. L’esecuzione del rimborso deve avvenire in un termine ragionevole e deve essere tale da non far correre alcun costo ulteriore o rischio finanziario al soggetto passivo (Cgue, sentenza 25 ottobre 2001, causa C-78/00).

Come ogni diritto – compreso lo stesso diritto alla detrazione – anche quello al rimborso dell’Iva non è illimitato e può essere soggetto a delle restrizioni laddove sia necessario tutelare diritti e interessi di pari dignità sul piano giuridico.

Nel nostro ordinamento, l’articolo 30, comma 2, lett. c), Dpr 633/1972 prevede che, per esempio, il rimborso dell’Iva può avvenire limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili.

L’espressione usata dal Legislatore nazionale “acquisto… di beni ammortizzabili” ha generato una querelle interpretativa che ha visto opporsi due tesi. Da un lato, quella che, riconoscendo un’identità sostanziale tra diritto alla detrazione e diritto al rimborso dell’Iva, ammette l’esercizio di quest’ultimo anche in riferimento alle opere eseguite sui beni immobili di proprietà di terzi, dovendosi aver riguardo al solo carattere strumentale delle stesse all’attività di impresa. Dall’altro, la tesi che, fondandosi sulla differenza strutturale tra la detrazione e il rimborso, arriva alla conclusione opposta. Con l’ordinanza interlocutoria 14975/2023 la  questione è stata rinviata alle sezioni unite che, in definitiva, con la sentenza 13162 dello scorso 14 maggio, ha posto un punto fermo sul tema.

 

Il diritto al rimborso dell’Iva e i beni ammortizzabili

Sul piano unionale, l’articolo 183 della Direttiva 2006/112/CE (e prima ancora l’articolo 18 della Sesta Direttiva 1977/388/CE) stabilisce che, se in un periodo d’imposta la detrazione supera l’imposta dovuta, l’eccedenza può essere riportata a nuovo oppure può essere rimborsata secondo le modalità previste dagli Stati membri.

In recepimento alla suddetta norma, l’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 disciplina le modalità di esecuzione dei rimborsi, sia annuali sia infrannuali. Ma prima ancora, l’articolo 30 dello stesso Decreto introduce presupposti specifici per il rimborso del credito Iva annuale.

Nel dettaglio, è possibile richiedere il rimborso, totale o parziale, del credito annuale, se lo stesso è superiore a 2.582,28 euro e se nell’anno in cui lo stesso è maturato:

  1. sono state effettuate esclusivamente o prevalentemente operazioni soggette a imposta ad aliquote inferiori a quelle relative agli acquisti e alle importazioni (comma 2, lettera a). Per verificare la presenza di tale presupposto, occorre effettuare un confronto tra l’aliquota media sulle vendite e l’aliquota media sugli acquisti;

  2. sono state effettuate operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25% di tutte le operazioni (comma 2, lettera b). Nelle operazioni non imponibili devono essere computate, così come evidenziato dalle istruzioni per la compilazione del quadro VX:

    - le esportazioni, le operazioni assimilate e i servizi internazionali di cui agli articoli 8, 8-bis e 9, Dpr 633/1972, nonché le operazioni con la Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino (articolo 71) e quelle effettuate nei confronti di determinati organismi internazionali (articolo 72);

    - le cessioni intracomunitarie e le operazioni di triangolazione di cui agli articoli 41 e 58 del Dl 331/1993;

    - le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito Iva con spedizione in altro Stato Ue (articolo 50-bis, comma 4, lettera f), Dl 331/1993);

    - le cessioni di beni estratti da un deposito Iva con trasporto o spedizione fuori dal territorio Ue (articolo 50-bis, comma 4, lettera g), Dl 331/1993);

    -le operazioni effettuate fuori dall'Ue dalle agenzie di viaggio e turismo rientranti nel regime speciale di cui all'articolo 74-ter Dpr 633/1972;

    - le esportazioni di beni usati e degli altri beni di cui al Dl 41/1995;
  3. sono stati acquistati o importati bene ammortizzabili ovvero beni e servizi per studi o ricerche (comma 2, lettera c).

  4. sono state effettuate prevalentemente operazioni non soggette a imposta per difetto del requisito di territorialità ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies Dpr 633/1972 (comma 2, lettera d); 

  5. il richiedente il rimborso è un soggetto estero che ha nominato un rappresentante fiscale o si è identificato direttamente (comma 2, lettera e).

 

Un ulteriore presupposto, che legittima il rimborso e che può ricorrere a prescindere dall’ammontare del credito, è previsto al comma 3 dell’articolo 30 e richiede che la situazione creditoria sia protratta per tre anni consecutivi; in questo caso può essere richiesto il minore fra i crediti dei tre anni.

Il credito Iva che risulta a fine anno può, quindi, essere richiesto a rimborso solo se ricorre almeno una delle condizioni sopra riportate (indicate all’articolo 30, comma 2, Dpr 633/1972).

Tra le condizioni che legittimano il rimborso dell’Iva, come si accennava, vi è quella che trattasi di acquisto/importazione di beni ammortizzabili.

A tal proposito, si osserva che, secondo la prassi, per individuare un bene "ammortizzabile" «occorre far riferimento alle norme previste per le imposte sui redditi», ossia alla possibilità che lo stesso sia oggetto di ammortamento. In particolare, sono considerati ammortizzabili esclusivamente i beni strumentali utilizzati nel ciclo produttivo posseduti a titolo di proprietà o altro diritto reale.

Con la risoluzione 179/E del 27 dicembre 2005, in riferimento alle opere realizzate su beni altrui,  l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che non possono essere ricondotte tra i beni ammortizzabili quelle opere che, una volta realizzate, non sono separabili dai beni dei terzi cui accedono, non avendo una loro autonoma funzionalità.

Di conseguenza, si era formato negli anni un orientamento interpretativo secondo cui, nell’ipotesi di effettuazione di migliorie su beni di terzi, non fosse rimborsabile l’Iva sulle medesime, non potendo tali beni iscriversi tra i beni ammortizzabili.

 

La decisione a sezioni unite della Corte di Cassazione

Con la sentenza 13162 del 14 maggio 2024, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, segna un punto di svolta in materia, affermando che il soggetto passivo che esercita attività di impresa ha diritto al rimborso dell’Iva per i lavori di ristrutturazione o manutenzione dell’immobile del quale non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tale bene e l’attività d’impresa svolta.

La pronuncia è importante perché, oltre al principio di diritto anticipato, sottolinea la necessità di interpretare le norme interne che disciplinano l’imposta sul valore aggiunto alla luce della direttiva unionale e non secondo gli schemi civilistici del diritto nazionale. Obiettivo prefissato, tra gli altri, dal Legislatore della riforma fiscale (legge delega 111/2023).

Ma andiamo con ordine.

Il caso coinvolge un esercente di attività di agriturismo che subisce un atto di recupero del credito Iva chiesto a rimborso e relative sanzioni con la motivazione che le spese sostenute sono relative a lavori di ristrutturazione di fabbricati e impianti esistenti su un terreno detenuto in locazione (dunque, di proprietà di terzi).

La tesi delle Entrate si fonda sul presupposto che l’articolo 30, comma 3, lettera c), Dpr 633/1972 prevede che il diritto al rimborso dell’Iva può essere riconosciuto solo in riferimento all’acquisto/importazione di beni ammortizzabili intesi secondo le regole del Tuir (articoli 102 e 103). Il che presuppone che trattasi di beni strumentali all’attività d’impresa di cui si ha il possesso, la proprietà o altro diritto reale.

Il giudizio di merito che fa seguito all’impugnazione dell’atto in questione vede vittorioso il contribuente in entrambi i gradi. Secondo i giudici, al contribuente spetta il diritto alla detrazione Iva in quanto sul punto si è già pronunciata la Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza 11533 dell’11 maggio 2018, la quale riconosce il diritto alla detrazione dell’Iva per i lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, a condizione che esista un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale.

In Cassazione (ordinanza interlocutoria 14975/2023), si è posto l’ulteriore problema se il precedente citato riguarda nello specifico il diritto alla detrazione e non propriamente il rimborso dell’imposta.

Se si confrontano le rispettive discipline, emerge come l’articolo 30 del Dpr 633/1972 struttura il rimborso dell’Iva in termini più limitativi rispetto all’articolo 19 sulla detrazione, subordinando – come abbiamo visto sopra – il riconoscimento dello stesso a specifiche condizioni.

Vero è che gli Stati membri, secondo quanto disposto dall’articolo 183 della Direttiva 2006/112/CE, hanno una certa discrezionalità nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza Iva, ma ciò non significa che non vi siano dei parametri da rispettare.

Secondo la Corte di Giustizia, infatti, dette modalità devono essere tali da consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito eccedente. Ciò implica che il rimborso sia effettuato entro un termine ragionevole e senza alcun rischio finanziario per il richiedente (Cgue, sentenza 25 ottobre 2001, causa C-78/00).

Sul piano nazionale, si sono alternati orientamenti di prassi e giurisprudenza contrastanti, sia precedenti sia successivi la pronuncia delle sezioni unite del 2018 sopra richiamata.

Alla base di tale disomogeneità di pronunce, vi è una diversa impostazione riguardo i presupposti di riconoscimento del diritto alla detrazione ovvero del diritto al rimborso dell’Iva.

Riassumendo il contrasto giurisprudenziale, da un lato, si consideri la sentenza di Cassazione 215 dell’11 gennaio 2021, secondo la quale «il diritto alla detrazione – e, in mancanza, l’alternativo diritto al rimborso – spetta anche con riferimento alle opere eseguite su beni immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva».

Dall’altro, rileva la sentenza della Cassazione 24518 del 4 novembre 2020, la quale ritiene che «la sussistenza delle condizioni per la detrazione dell’Iva non implica, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa…» e che «il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale…».

Orbene, si noterà che le due diverse posizioni si basano su due assiomi diametralmente opposti:

  • il primo consiste nell’esistenza di un’identità di presupposti del diritto alla detrazione e del diritto al rimborso dell’Iva che trova fondamento nell’applicazione del principio di neutralità. Sicché l’unico elemento che rileva in riferimento alle opere eseguite sui beni immobili di proprietà di terzi è il carattere strumentale delle stesse all’attività di impresa;

  • il secondo si esplica nella differenza strutturale tra la detrazione e il rimborso, differenza dovuta in particolare dalla natura eccezionale di quest’ultimo rispetto all’esercizio della detrazione.

 

La Corte di Cassazione ha definitivamente accolto la prima delle due posizioni espresse. Le considerazioni del supremo consesso, innanzitutto, muovono dal presupposto che la norma interna dell’articolo 30, comma 2, lett. c), decreto Iva – secondo la quale può essere chiesto a rimborso il credito Iva relativo all’acquisto di beni ammortizzabili – è soggetta a un’interpretazione “unionalmente orientata”, oltre la sua stretta letteralità, dovendosi intendere per “acquisto” la disponibilità del bene e per “ammortizzabile” la sua durevolezza/utilità pluriennale, dando esclusivo rilievo al concetto funzionale di “strumentalità” ai fini imprenditoriali del soggetto passivo che effettua l’acquisto.

A tali fini, pertanto, non rileva il concetto di “bene ammortizzabile” previsto dagli articoli 102 e 103 del Tuir né rileva l’articolo 2424, lettera b) I e II, del codice civile, di “immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili Oic 24 e 16 sono riferibili ai costi a utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene.

Dunque, fatta questa premessa, e cioè che la norma interna sul rimborso va interpretata in senso conforme alla Direttiva Iva piuttosto che secondo il diritto interno – richiamando le parole della Cassazione «… non esiste un vincolo di conformità/continuità ermeneutica tra diritto civile e diritto tributario, stante la natura speciale di quest’ultimo, che implica e impone specifiche attribuzioni di senso al suo lessico normativo (basti pensare al concetto di “possesso di redditi” di cui all’articolo 1, Dpr 917/1986, che pacificamente non può essere ricondotto al solo assonante concetto civilistico»  – non può che prendersi atto della totale equiparazione di detrazione e rimborso. Sul punto, l’orientamento della Corte di Giustizia Ue è costante nel sostenere che una cosa è l’an del diritto alla detrazione (articoli 166-172 Direttiva 2006/112/CE), un’altra il quomodo del diritto, ovvero le modalità di esercizio (articolo 178-183 Direttiva 2006/112/CE), che possono essere diverse per la detrazione e il rimborso. In ogni caso, anche nella fase di esercizio del diritto, vanno rispettati i principi di neutralità, di proporzionalità e di effettività, i quali limitano la discrezionalità degli Stati membri sulle procedure adottabili.

È in questo contesto, dunque, che va intesa l’espressione «acquisto … di beni ammortizzabili» (di cui all’articolo 30, comma 2, lettera c), Dpr 633/1972):

i) attribuendo al termine “acquisto” il significato di disponibilità dei beni in virtù di un titolo giuridico (anche diverso dalla proprietà, come la locazione o il comodato) che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo “apprezzabilmente lungo”, ferma restando la strumentalità del bene all’esercizio dell’attività d’impresa;

ii) considerando i “beni ammortizzabili” alla stregua dei “beni di investimento”, espressione utilizzata dalla Direttiva Iva in senso ampio e sostanzialmente economico.

 

Tutto ciò considerato, le conclusioni della Suprema Corte non possono che confermare, in riferimento al caso di specie, il diritto al rimborso del contribuente del credito Iva scaturente dalle opere di ristrutturazione effettuate sull’immobile, di proprietà di terzi, stabilmente destinato all’esercizio della sua attività imprenditoriale di agriturismo.

L’approccio adottato dai Giudici di legittimità nella sentenza anzi commentata è pienamente condivisibile.

Pur considerato, infatti, il carattere di eccezionalità dello strumento del rimborso rispetto alla detrazione dell’Iva, in entrambi i casi di tratta di “tutelare” il credito Iva a garanzia della neutralità dell’imposta, che essendo un’“imposta al consumo”, non deve gravare sugli operatori commerciali. Pertanto, anche se il diritto al rimborso è subordinato a delle modalità di esecuzione più stringenti e, comunque, rimesse alla discrezionalità degli Stati membri, esso rimane uno strumento alternativo alla detrazione e, in tal senso, non può avere autonomi presupposti strutturali. In altre parole, e semplificando, la detrazione e il rimborso rappresentano due diverse modalità che consentono al contribuente di recuperare il credito Iva e, pertanto, la loro natura sostanziale non può che essere la stessa.

L’interpretazione logico-giuridica “unionalmente orietata” della Corte non poteva portare a concludere diversamente. Si auspica che tale tendenza di svincolare le norme Iva dagli istituti di diritto interno, che trova una massima espressione nella pronuncia commentata, diventi il metodo ermeneutico di base dei giudici nazionali, nell’ottica europea di applicare la Direttiva Iva in senso uniforme e armonizzato in tutti gli Stati membri dell’Unione.

Studio Santacroce & Partners


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