Illecito penale e reclusione in caso di diritti doganali errati

Illecito penale e reclusione in caso di diritti doganali errati

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Di Santacroce Benedetto

La riscrittura del sistema sanzionatorio relativo all’import e all’export operata dal decreto legislativo approvato il 7 agosto dal Consiglio dei ministri, e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, pone quale forma principale di reazione dell’ordinamento alle violazioni commesse dagli operatori la tutela penale, mettendo in secondo piano, e solo in riferimento a ipotesi di minima portata, la possibilità di applicare delle sanzioni di natura amministrativa. 

In effetti, l’intero impianto sanzionatorio disciplinato dalle disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione europea ruota intorno a due macrocategorie di reato: il contrabbando per omessa dichiarazione (articolo 78) e il contrabbando per infedele dichiarazione (articolo 79). 

A queste due principali ipotesi di reato si affiancano, solo in via residuale, le sanzioni amministrative (articolo 96) che trovano applicazione solo nel caso in cui, alternativamente, non ricorra una sola delle circostanze aggravanti del contrabbando oppure quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti o indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione sia superiore a 10.000 euro. 

Proprio la seconda condizione, vale a dire il superamento della soglia dei 10.000 euro dei diritti di confine distintamente considerati (che comprendono non solo i dazi ma anche l’Iva), determina, in base anche alla statistica delle violazioni commesse in passato, che in molti casi si renderà potenzialmente applicabile la sanzione penale con conseguente coinvolgimento del relativo giudice. 

Più in dettaglio, l’articolo 78 punisce, con la multa dal 100 al 200% dei diritti dovuti, qualunque forma di omessa dichiarazione con introduzione, circolazione nel territorio doganale o con sottrazione alla vigilanza doganale di merci non unionali ovvero, l’uscita dal territorio doganale di merci unionali. 

Al contrario, l’articolo 79 punisce con eguale sanzione chiunque dichiari, in modo non corrispondente all’accertato, qualità, quantità, origine e valore delle merci, nonché ogni altro elemento occorrente per l’applicazione della tariffa doganale e per la liquidazione dei diritti.  Inoltre, per queste fattispecie di base l’articolo 88 prevede delle circostanze aggravanti che aggiungono alla multa la sanzione della reclusione.
In particolare, sempre sul piano quantitativo, viene prevista:  la reclusione fino a 3 anni quando l’ammontare di almeno uno dei diritti di confine dovuti, distintamente considerati, è maggiore a 50.000 euro e non superiore a 100.000 euro;  la reclusione da 3 a 5 anni quando l’ammontare dei diritti dovuti distintamente considerati, è superiore a 100.000 euro. 

In effetti, proprio il reato di contrabbando per infedele dichiarazione, che di fatto sostituisce la precedente sanzione amministrativa prevista all’articolo 303 del Tuld, solleva alcuni dubbi di compatibilità della stessa con i principi unionali di effettività, proporzionalità e dissuasività della sanzione. Questa fattispecie ricomprende molte ipotesi in cui gli errori degli operatori sono solitamente dovuti alle difficoltà interpretative connesse, ad esempio, alla classificazione dei singoli beni trattati ovvero alla corretta applicazione delle regole in materia di origine e valore e non alla volontà di evadere il dazio o l’Iva connessa all’operazione. 

In effetti, mentre prima della riforma questi errori erano immediatamente valutati dai funzionari doganali o dai militari della Guardia di Finanza che constatavano o accertavano la violazione ora, inesorabilmente, al superamento della soglia dei 10.000 euro saranno devoluti ai giudici che dovranno, in prima battuta, valutare proprio il profilo soggettivo di partecipazione del reo. Se tale verifica porterà all’accertamento che il comportamento dell’operatore sia attribuibile non a dolo ma a colpa, allora la violazione risulterà ancora sanzionabile in via amministrativa e tornerà sotto l’egida dell’autorità doganale. Autorità che dovrà rivalutare il fatto e potrà applicare la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 96 (dal 100 al 200% dei diritti dovuti) per giunta, in base al comma 14 della stessa disposizione, in misura ridotta, dall’80 al 150% dei diritti di confine dovuti. 

Ultimo punto da segnalare riguarda il fatto che le sanzioni, sia quelle penali che quelle amministrative, nella maggior parte dei casi, determinano anche la confisca dei beni oggetto di violazione.

Studio Santacroce & Partners


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