L’Iva, le accise e le altre imposte di consumo riscosse all’importazione costituiscono diritti di confine. Questa è la scelta definitivamente presa nel testo approvato dal Consiglio dei ministri dell’8 agosto scorso (e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale) che dà attuazione alla delega fiscale in materia di diritto doganale. Una scelta che, pur avendo lasciato spazio ad alcune eccezioni, determina conseguenze non condivisibili sia in termini di sanzioni sia in termini di debitori dell’imposta. Inoltre, poco si concilia con quella operata il 4 luglio dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, che con l’ordinanza n.18284/2024 hanno rinviato alla Corte costituzionale per un giudizio di legittimità proprio il rapporto tra Iva interna e Iva all’importazione.
Il contenuto della norma
In particolare, l’articolo 27 delle disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione europea (Cdu) introduce proprio per l’Iva una specificazione, collocando l’imposta tra i diritti di confine. Questi costituiscono species del genus diritti doganali e si distinguono per il fatto di essere accertati, liquidati e riscossi secondo le disposizioni doganali. La stessa disposizione, però, esclude l’Iva dai diritti di confine in due casi:
1. Quando, a seguito dell’immissione in libera pratica, l’Iva viene sospesa perché i beni vengono destinati all’immissione in consumo in altro Stato membro della Ue (“regime 42”);
2. Quando le merci vengono immesse in libera pratica senza assolvimento dell’imposta perché vincolate al “regime del deposito Iva”.
Il regime Iva da applicare
Quindi, mentre in generale l’importazione genera come conseguenza la debenza dell’Iva, al pari del dazio, con le regole doganali, nei casi sopra indicati l’Iva seguirà:
- nel primo caso, le regole indicate dal legislatore dello Stato membro di consumo;
- nel secondo caso, le norme interne e verrà pagata con il meccanismo del reverse charge.
La prestazione di garanzia
In entrambi i casi, però, l’importatore potrebbe essere obbligato a presentare una garanzia (salve alcune ipotesi di esclusione previste, ad esempio per gli operatori Aeo, cioè quelli autorizzati perché conformi agli standard dell’Organizzazione mondiale delle dogane) che garantisca l’Iva. Proprio sotto questo profilo si sottolinea che, mentre per il vincolo dei beni all’importazione al regime del deposito Iva la cauzione era già prevista, per il regime 42 l’articolo 6 del decreto delegato della riforma in esame consente alle autorità doganali di richiedere la costituzione di una garanzia nel caso in cui l’ufficio, in base all’articolo 67, comma 2-ter del Dpr 633/1972, richieda all’importatore i documenti che comprovino l’effettivo trasferimento del bene nell’altro Stato membro di consumo.
Le conseguenze sulle sanzioni
Tornando al tema dell’Iva all’importazione quale diritto di confine, la conseguenza della scelta del legislatore è che alla stessa si considerano applicabili le regole sanzionatorie doganali (tra cui la nuova formulazione del contrabbando - si veda il commento pubblicato il 13 agosto scorso su queste stesse pagine) e le norme unionali sull’individuazione del debitore dell’imposta con estensione di tale obbligazione nei confronti del rappresentante doganale indiretto dell’importatore.
Sul tema, comunque, bisognerà sicuramente tornare. Specialmente se la Corte costituzionale, come evidenziato in precedenza, dovesse considerare illegittima la disposizione dell’articolo 34 del Tuld (ora sostituito dall’articolo 27 delle Dnccdu, le disposizioni nazionali complementari al Cdu).
Nel frattempo, è necessario che gli operatori tengano conto della novità introdotta sia per impostare correttamente i flussi doganali delle merci in importazione, sia per evitare di vedersi applicare le nuove sanzioni penali e amministrative.
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