Dazi, ecco cosa può cambiare per le imprese esportatrici negli Usa

Dazi, ecco cosa può cambiare per le imprese esportatrici negli Usa

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Di Santacroce Benedetto

I dazi reciproci del 30% con gli Stati Uniti preannunciati dal presidente Donald Trump a partire dal 1° agosto risultano notevolmente superiori a quelli che, dai precedenti ordini esecutivi e proclami, erano stati fissati al 20 per cento. Nella lettera del 13 luglio, però, il presidente, oltre ad affermare con forza che la percentuale del 30% è di gran lunga inferiore a quanto necessario per eliminare il divario di deficit commerciale, minaccia particolari ritorsioni e invita le imprese europee ad investire negli Stati Uniti per produrre li direttamente i beni destinati a quel mercato.

Cerchiamo, ora, di ricostruire in dettaglio l’attuale situazione e quella che si creerebbe nel caso in cui il contenuto della lettera dovesse essere, effettivamente, messo in pratica. La situazione attuale  L’attuale situazione nei rapporti tra Europa e Stati Uniti è condizionata da dazi settoriali: nella misura del 50% per acciaio, alluminio e derivati e del 25% per automotive e ricambi e da dazi reciproci su tutti i beni (con alcune eccezioni) del 10% che si sommano al Mnf (Most favored nation: clausola della nazione più favorita). Inoltre, sulla base degli ordini esecutivi questo ultimo dazio doveva (dopo la moratoria di 90 giorni scaduta il 9 luglio scorso) salire al 20 per cento.

La lettera e le conseguenze 

La lettera, in primo luogo, dichiara che dal 1° agosto (in questo modo la proroga ha avuto una sua naturale estensione dal 9 luglio al 1° agosto) l’aliquota dei dazi reciproci dovrebbe essere fissata al 30 per cento.  Questa tariffa (anche se il termine utilizzato dalla lettera non risulta del tutto chiaro) dovrebbe essere tenuta distinta dalle aliquote previste dai dazi settoriali. Quindi il 30% si applicherebbe a tutti i beni (probabilmente verranno inserite delle specifiche esenzioni ovvero delle aliquote differenziate) tranne che a quelli settoriali che rimarrebbero fissati agli attuali livelli. Il 30% si sommerebbe per i singoli beni colpiti al dazio ordinariamente previsto dal sistema Hts americano. 

Le ulteriori conseguenze che si desumono dalla lettera sono le seguenti:     

per le merci europee che vengono trasbordate in altri Paesi (con aliquote inferiori) per aggirare i dazi reciproci, gli Usa applicherebbero sempre il 30% ovvero l’aliquota più elevata prevista per lo specifico prodotto.     

nel caso in cui l’Ue dovesse introdurre misure di reazione e quindi dazi incrementali sulle merci americane destinate al mercato europeo (regola che l’Europa ha deciso di prorogare al 1° agosto) l’aliquota del 30% verrà aumentata della percentuale incrementale introdotta dall’Unione. Considerato che la misura attualmente prevista quale percentuale di reazione ai dazi settoriali su acciaio e alluminio è del 25% l’aliquota teoricamente applicabile sarebbe del 55% (30 + 20);     

per le imprese europee che decidono di spostare la produzione dei propri beni commercializzati negli Stati Uniti l’introduzione in Usa di materie prime e semilavorati dovrebbero risultare esclusi dai dazi reciproci ovvero come indicato (atecnicamente) nella lettera dovrebbero essere esonerati da dazi.

Per le autorizzazioni alla produzione dei beni negli Stati uniti sarebbe possibile ottenerle nel giro di poche settimane (termine che sembra non solo irrealistico, ma del tutto generico e sarebbe da verificare in base ai singoli prodotti e alle barriere esistenti su specifiche produzioni dalle regole americane. 

La lettera, infine, rilancia il dialogo nel caso in cui l’Unione abbatta tutte le barriere commerciali (tariffarie e non tariffarie).  Certamente la lettera a prescindere dal contenuto politico chiede all’Unione europea delle risposte concrete che, ormai, debbono essere forti e decise per non creare un’ulteriore incertezza sui mercati che terrorizza giustamente le imprese.

Studio Santacroce & Partners

 


 

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