Nel contenzioso tributario in materia doganale le sentenze saranno esecutive solo a favore dell'agenzia delle Dogane. A fronte di atti di accertamento annullati con sentenza non definitiva gli importatori dovranno pagare comunque o subiranno l'esecuzione forzata. A prevederlo è il Ddl di legge europea 2013-bis (atto 1533) da oggi all'esame dell'aula Senato dopo il primo via libera della Camera dove dovrà comunque tornare in terza lettura per l'approvazione finale.
Le novità
L'articolo 10, comma 2, del testo introduce il comma 3-bis nell'articolo 68 del Dlgs 546/1992 sul processo tributario stabilendo che «il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali … e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione resta disciplinato dal regolamento (Cee) n. 2913/92, come riformato dal regolamento (Ue) n. 952/2013 … e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia».
Non mancano criticità nella formulazione normativa, che va tuttavia al di là delle richieste comunitarie di modifica e potrebbe produrre gravissime conseguenze per gli importatori. In primo luogo, invece di recepire disposizioni comunitarie (né i regolamenti lo richiedono), la nuova disciplina richiama disposizioni esistenti (e non tutte ancora vigenti, in quanto il codice doganale dell'Unione al regolamento 952/2013 entrerà in vigore tra due anni). Inoltre la formulazione rischia di configurarsi come priva di riferimenti puntuali e impropria in quanto il codice doganale non disciplina il rapporto tra pagamento e processo.
Finalità
Lo scopo che sembra perseguire il legislatore, sulla falsariga della recente prassi seguita da alcuni uffici doganali, è quello di rendere esecutiva la sentenza del processo tributario in materia doganale solo a favore della dogana, che potrà riscuotere i dazi (e l'Iva all'importazione, che non è «risorsa propria») dovuti in base all'accertamento sia in caso di sentenza favorevole all'amministrazione, sia in caso di annullamento dell'atto impugnato.
Questa scelta del legislatore italiano è verosimilmente da ricollegare a una nota risalente al 14 marzo 2012 delle direzioni generali Fiscalità e Unione doganale, da una parte, e Bilancio, dall'altra, della Commissione europea volta a dare soluzione definitiva ad un quesito posto dall'agenzia delle Dogane italiana circa la possibilità oppure no per gli uffici periferici, alla luce delle norme comunitarie, di svincolare la garanzia eventualmente prestata dall'importatore in pendenza di un contenzioso tributario qualora la sentenza di primo grado o di appello siano favorevoli alla parte privata.
L'articolo 244 del Codice doganale comunitario (regolamento (Cee) n. 2913/92) prevede infatti che la presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione dell'atto impugnato, salva la possibilità di chiedere all'amministrazione tale sospensione accludendo apposita garanzia che, ai sensi della generale disposizione dell'articolo 199 dello stesso Codice, non può essere svincolata fino a quando l'obbligazione per la quale è stata costituita non si è estinta o non può più sorgere.
Ad avviso della Commissione europea, queste disposizioni inibiscono lo svincolo della garanzia in caso di sentenze delle Commissioni tributarie sfavorevoli per gli uffici doganali, sicché l'articolo 68 del Dlgs 546/1992 (in base al quale, in presenza di sentenza che dichiari un tributo non dovuto, l'amministrazione deve provvedere a restituire quanto incamerato) è in contrasto con i menzionati articoli e anche con l'articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Cee 1150/2000, in tema di messa a disposizione delle risorse proprie (in pratica, i dazi doganali).
Da questo carteggio è emersa la necessità di modificare l'articolo 68 anche se la Commissione europea chiedeva di non restituire la garanzia prestata e stabilendo, in pratica, che l'operatore che non ha pagato o garantito può essere esecutato anche se ha vinto in primo grado o in appello. In un momento in cui la competitività – anche nel settore doganale – dovrebbe essere la stella polare, la scelta dell'Italia rischia di essere controcorrente (e contraria ai principi comunitari), esponendosi peraltro ad azioni risarcitorie da parte di quei soggetti che, vinto definitivamente il contenzioso, abbiano visto il proseguio dell'attività pregiudicato dalle attività esecutive.