Gli effetti della sentenza Equoland (emessa dalla Corte di Giustizia il 17 luglio scorso (causa C-272/13) non tarderanno a farsi sentire sia sui contenziosi pendenti che sull'attività di accertamento dell'agenzia delle Dogane.
I giudici comunitari, chiamati a valutare la legittimità dell'interpretazione dell'articolo 50 bis, comma 4, lettera b), del Dl 331/1993, sposata dall'amministrazione doganale italiana in caso di irregolare utilizzo del deposito Iva ed essenzialmente volta a recuperare l'imposta pur in presenza di un'autofattura emessa dal proprietario della merce, hanno chiarito che la disciplina comunitaria in materia di Iva non consente ad uno Stato membro di chiedere il pagamento dell'imposta all'importazione qualora la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.
Consegue da questa impostazione che non è possibile configurare l'Iva all'importazione come un tributo diverso dall'Iva interna, sicché l'autofattura emessa per l'assolvimento da parte del soggetto passivo non costituisce una mera «operazione neutra di compensazione dell'Iva nazionale a debito con quella a credito», come più volte affermato dalla Corte di Cassazione (per tutte, si veda la sentenza 12262/2010), bensì un vero e proprio pagamento opponibile all'ufficio doganale che agisce per il recupero dell'imposta non versata all'importazione.
Conseguenze
Il principio contenuto nella sentenza Equoland comporta rilevanti conseguenze, sia per i contenziosi pendenti, sia per l'attività di accertamento. In ordine ai contenziosi pendenti, infatti, nei quali il contribuente abbia opposto l'esistenza di una autofatturazione dell'Iva idonea a costituire assolvimento di quella non corrisposta in dogana, la sentenza comunitaria produce immediatamente i propri effetti, sia per effetto della portata vincolante delle stesse disposizioni interpretate, sia perché «le sentenze emesse dalla Corte di Giustizia hanno una efficacia erga omnes, applicandosi non solo alla controversia pendente innanzi al giudice nazionale che ha richiesto, in via pregiudiziale, l'intervento del giudice comunitario, ma anche a tutte quelle altre controversie aventi ad oggetto la stessa questione di diritto risolta dal giudice comunitario» (così la Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 18219/07): pertanto, l'accertamento volto a recuperare l'Iva già autofatturata, sia in relazione ad operazioni di irregolare utilizzo di un deposito Iva che in ordine a diritti di licenza o di know how non dichiarati in dogana in quanto erroneamente ritenuti dall'importatore estranei al valore da dichiarare, non potrà che essere annullato dal giudice adito a fronte del riscontro della corretta autofatturazione dell'Iva.
Del resto, non assume alcuna rilevanza il fatto che il rapporto controverso sia insorto prima della pubblicazione della sentenza: pacificamente, le sentenze della Corte di Giustizia rese su questioni pregiudiziali chiariscono e precisano il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto essere, intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore, sicché la norma così interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa (in tal senso la stessa Corte di Giustizia nella sentenza Denkavit italiana, del 27 marzo 1980, causa C-61/79, punto 16).
Parallelamente, nell'effettuare un'attività di accertamento, l'amministrazione dovrà astenersi dal recuperare l'imposta ove riscontri dalla documentazione fornita dal contribuente sottoposto a verifica che questi ha già provveduto al pagamento del tributo con la successiva doppia annotazione del documento fiscale nei registri degli acquisti e delle vendite.
Rimangono tuttavia aperti taluni problemi di tipo operativo, quale ad esempio il trattamento Iva di importazioni nelle quali il tributo sia corrisposto in dogana in rapporto a diritti di licenza versati ad un soggetto nazionale, il quale però - all'atto del pagamento delle royalty - è tenuto comunque a emettere fattura con Iva, che dunque sarebbe pagata due volte.