Le decisioni prese dal Governo in materia di reverse charge e split payment nella legge di stabilità 2015 se perseguono l’obiettivo di rendere più efficace la lotta all’evasione fiscale, tradiscono, nei fatti, la volontà espressa con numerosi provvedimenti e documenti di voler semplificare la vita dei contribuenti e di voler fornire maggiori certezze normative e operative ad imprese e professionisti. In particolare, le predette misure (a dire il vero non tutte) sono portatrici di incertezza per gli operatori, perché così come ipotizzate potrebbero creare preoccupazioni e costi di adeguamento per poi rischiare di non essere mai definitivamente operative.
Le principali misure
Per verificare in dettaglio questi pericoli cerchiamo di analizzare tecnicamente le diverse misure così come disegnate dalla norma in discussione.
Per quanto riguarda le misure che si vogliono introdurre in materia di reverse charge abbiamo tre situazioni distinte.
La prima riguarda l’ipotesi di individuare quale debitore dell’IVA il committente nei casi servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a bene immobili. Questa misura sarà immediatamente operativa dal 1 gennaio 2015, in quanto essa è stata presa in coerenza con quanto disposto dall’art. 199 della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva Iva). In questo caso, infatti, lo Stato membro può introdurre la misura limitandosi a informare il comitato IVA della Commissione Europea.
La seconda situazione riguarda le misure di reverse charge relative al gas e all’energia elettrica, in particolare, ad esempio, ai trasferimenti di quote di emissione di gas a effetto serra. In questo caso, in base all’art. 199 bis della direttiva Iva, l’introduzione della regola del reverse charge è condizionata a una semplice comunicazione in merito alla entrata in funzione della misura, accompagnata da una dichiarazione che descriva il funzionamento e gli effetti sui contribuenti e seguita da una relazione che fornisca una valutazione delle conseguenze determinate per il contrasto alle frodi realizzate negli specifici settori. Quindi anche questa misure entrano direttamente in vigore il 1 gennaio 2015.
Terza situazione riguarda la misura di reverse charge prevista in relazione alle cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati (codice attività 47.11.1), supermercati (codice attività 47.11.2) e discount alimentari (codice attività 47.11.3). Questa misura non compresa nelle predette regole europee è, invece, soggetta a una richiesta di deroga alle autorità di Bruxelles che necessita di una autorizzazione presa all’unanimità dal Consiglio europeo. Per quanto riguarda, infine, lo split payment la norma ipotizzata modifica il meccanismo di riscossione dell’Iva prevedendo che i fornitori della PA non si vedranno pagare l’imposta, ma solo il corrispettivo dell’operazione realizzata, in quanto l’imposta sarà pagata dal committente/cessionario pubblico direttamente allo Stato. Per questa misura per la quale sarebbe necessaria, in base all’art. 395 della direttiva IVA, un processo di deroga che potrebbe durare anche 8 mesi dal ricevimento della domanda e che si conclude con un’autorizzazione approvata all’unanimità da Consiglio europeo, il Governo ha deciso di renderla operativa già con riferimento alle operazioni per le quali l’imposta sul valore aggiunto è esigibile a partire dal 1º gennaio 2015.
È chiaro, che a differenza delle prime due ipotesi di reverse charge, la regola prevista nei confronti della grande distribuzione e lo split Payment sono effettivamente incerte e se attuate senza autorizzazione potrebbero generare dei costi operativi inutili e contrari a qualunque spirito di semplificazione.
Benedetto Santacroce