Depositi IVA: la Circolare 12/E/2015

Depositi IVA: la Circolare 12/E/2015

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L’Agenzia delle Entrate passa in rassegna i depositi Iva con una circolare estremamente completa, oltre che ricognitiva di tutti gli aspetti di interesse che investono un istituto che, negli anni, ha continuato ad offrire spunti di studio - spesso assai controversi - per gli operatori del settore.

Il documento (circ. 12/E/15), atteso da anni dagli operatori, è, in sostanza, un atto riepilogativo di tutte le numerose questioni interpretative relative alla disciplina dei depositi IVA di cui all’art. 50-bis del D.L. 331/93, esplicitamente emesso “anche alla luce delle problematiche trattate in sede di interpello, nonché del pronunciamento della Corte di Giustizia Ue, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13” (Equoland).

I temi affrontati sono dunque numerosi e le stesse motivazioni che hanno spinto l’Agenzia all’emanazione dell’atto in commento offrono lo spunto per affrontare subito il tema dell’utilizzo virtuale dei depositi, uno dei punto più innovativi del provvedimento.

Ebbene, sul punto, l’Agenzia è netta nel seguire il disposto della stessa Corte di Giustizia, da ultimo ribadito dalla sentenza Equoland: l’utilizzo virtuale del deposito – ossia l’utilizzo meramente contabile dello stesso, prescindendo dall’introduzione fisica della merce in deposito – non è ammesso. Le merci, in sostanza, debbono sempre essere introdotte in magazzino, ivi detenute e dunque estratte con il meccanismo dell’inversione contabile.

Sono le conseguenze della mancata introduzione, però, a subire ora un’inversione di rotta.

Infatti, se l’operatore non ha proceduto all’introduzione delle merci in deposito ma ha comunque svolto correttamente gli adempimenti contabili connessi al deposito, in assenza di frode (anche tentata) l’imposta non può più essere richiesta e si considera comunque assolta, salva l’irregolarità formale, come tale sanzionabile.

Ancora, la circolare riprende e conferma il diniego al deposito virtuale anche con riferimento ai luoghi in cui, sempre in sospensione di imposta, possono essere effettuate le lavorazioni di cui alla lett. h) dell’art. 50bis.

Anche qui, si conferma innanzitutto l’apertura fatta dal legislatore con la L. 2/09, per cui le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, anche se materialmente eseguite non nel deposito, ma nei locali limitrofi, sono ammesse.

Sul punto, però,  l’Agenzia precisa che attraverso la modifica normativa “non è stato introdotto nell’ordinamento un principio generale secondo cui i beni possono considerarsi in regime di deposito a prescindere dalla loro materiale introduzione nei luoghi fisici a ciò appositamente deputati”.

Stessa precisazione sui tempi minimi di giacenza, altra annosa questione che aveva visto la stessa causa del contratto di deposito messa in discussione dai verificatori; anche qui, si conferma la nuova impostazione, sempre introdotta dalla L. 2/09, per cui le prestazioni di servizi sulle merci consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA senza tempi minimi di giacenza, né obbligo di scarico dal mezzo di trasporto.

Resta il fatto che, per l’Amministrazione, “il deposito deve comunque assolvere le funzioni di stoccaggio o custodia dei beni, anche se non è obbligatorio il materiale scarico dei beni dal mezzo di trasporto (che potrebbe essere anche un container)”. Il principio, considerato legittimo anche dalla Corte di Giustizia, impone di concludere che “l’assenza o la simulazione del contratto di deposito impediscono l’applicazione delle disposizioni agevolative” in commento.

La Circolare 12/E/15, nella sua analiticità, fornisce interessanti spunti, ad esempio,  sulla determinazione  della base imponibile in caso di cessione prima dell’estrazione in cui il valore da dichiarare è quello dell’ultima  cessione che può essere  più basso del valore dichiarato all’introduzione ovvero sulla rappresentanza fiscale leggera per la quale viene sciolto il dubbio che la stessa  possa operare anche per le operazioni extracomunitarie, anche se non espressamente indicate  dall’art. 44, comma 3 del Dl 331/93.

 

Box – interno

Il caso Equoland (CGUE C-272/13)

La sentenza Equoland ha sancito l’innovativo principio – fino al 2014 rifiutato dall’Amministrazione – per cui in caso di non corretto utilizzo del deposito, l’imposta si considera comunque assolta se autofatturata e se non v’è evidenza di frode, residuando la sola applicabilità di una sanzione formale.

L’affermazione del principio ha avuto negli anni una strada difficile e tortuosa, soprattutto per i risvolti doganali della questione; tuttavia, sia le Dogane con la Circ. 16/D/14, sia le Entrate con la Circ. 12/E/15, riconoscono ora valida efficacia al reverse charge quale metodo comunque satisfattivo dell’imposta.

Resta però aperta la questione del perimetro di applicaizone del principio affermato dalla sentenza Equoland: non solo in materia di depositi Iva, ma in tutti i casi di Iva comunque oggetto di autofattura, questa non può essere “ripresa” anche in dogana, come avviene negli accertamenti maggiorativi del valore delle merci.

Non si tratta di ammettere la scomparsa dell’Iva assolta in dogana, che rimane, ma di rendere effettivo il principio di neutralità dell’imposta nelle ipotesi di servizi resti da soggetti extra Ue e rilevanti in dogana.

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